Devo ammetterlo, ho sempre avuto un debole per Damon Gough aka Badly Drawn Boy, sin dal suo incredibile esordio del 2000, “The hour of the bewilderbeast”, per non parlare poi di quel capolavoro che va sotto il nome di “About a boy”, album/colonna sonora del riuscitissimo film con Hugh Grant e tratto dal romanzo di Nick Hornby. E fu proprio da quella meravigliosa soundtrack che non ho più smesso di seguire Damon, anche e soprattutto durante i suoi lavori diciamo non sullo stesso livello dei citati primi due. In realtà , a dispetto di ciò che certa parte della critica sostiene, ritengo che tutte le produzioni di BDB raggiungono abbondantemente la sufficienza e, in alcuni casi come in “Is There Nothing We Could Do?” del 2010 (OST del film TV “The Fattest Man in Britain”) anche qualcosina di più.

Questo per dire che non c’è da meravigliarsi se il musicista britannico tira fuori dal cilindro un’ altra ricca e compiuta prova della sua destrezza con la pubblicazione di questo nuovo lavoro in studio, ancorchè nelle parole contenute nella title track di apertura, “It’s time to break free/From this plaster cast/And leave your past behind” (“è tempo di liberarsi da questo calco in gesso e lascia il tuo passato alle spalle”), Gough sembra voler farsi perdonare degli   errori commessi nel passato mentre smaglianti tastiere producono un ridente funky. Sappi, caro Damon, che per quanto mi riguarda non hai nulla da farti perdonare.

“Banana Skin Shoes”, nono album in studio – al netto della colonna sonora di “Being Flynn” del 2012 – giunge a distanza di ben dieci anni dall’ottimo “It’s What I’m Thinking Pt.1 ““ Photographing Snowflakes”   e ci consegna un BDB in pieno stato di grazia, ispiratissimo e concreto, senza eccessi o preziosismi che possano minare l’album, all’interno del quale vengono riproposte le sonorità  tanto care al musicista di Lancashire e che spaziano nel folk, country, pop, indie-rock ed elettronica.

Ebbene, se questo è il risultato di cotanta attesa, allora ben venga perchè il disco nelle sue quattordici tracce – registrato tra Manchester e Londra, completato agli Eve Studios di Stockport con la produzione di Gethin Pearson (Kyle Okereke) e Martin Glover, conosciuto come Youth, già  bassista dei  Killing Joke  – è davvero una goduria per l’udito e vede il cantautore di Bolton riprendere le file di un discorso interrotto dieci anni fa e, dunque, che non si discosta dai sui amabili clichè.

Dell’operner vi ho già  parlato; sulle stesse giocose sonorità  si innesta anche la successiva “Is This A Dream?”che ci trasporta di diritto nel mondo incantato di BDB e diventa ancora più fatato quando le dolci ballate del suo tipico marchio di fabbrica teneramente prendono il sopravvento con “I Just Wanna Wish You Happiness” e “I’m Not Sure What It Is”, evocando le esperienze di “About a boy”.

La stravaganza del nostro artista non si misura soltanto dal suo immancabile quanto sempre improbabile cappellino ma quanto dalla sua capacità  di proporre generi su generi, skippando nota su nota concedendosi a coraggiosi quanto azzeccati cambiamenti di stile e, pertanto, è facile farsi travolgere ad esempio dal rinfrescante e giulivo sound di “Tony Wilson Said” ma anche dalla incalzante bossa nova di “You and Me Against the World” mentre le note della coinvolgente ballata indie-rock “I Need Someone to Trust” si piazzano nel mezzo tra “If you leave me now” dei Chicago e “Believe it or not” di Joey Scarbury (la sigla di Ralph Super Maxi Eroe, avete presente?!?).

Toni più cupi e psichedelici attanagliano “Colours” mentre tracce eteree circondano “Note To Self” almeno fino al   toccante e pastoso indie-pop di “Funny Time of Year” e al candido pianoforte di “Never change” o ancora nella distensiva quanto amara “Appletree Boulevard”.

Insomma, a Damon piace giocare, come sempre, con le sue composizioni anche quando si lancia in un tipico mood disco anni ’70 in “Fly on the Wall” oppure nella closing track “I’ll Do My Best” che si inserisce nell’album un po’ come l’uovo di Pasqua sotto l’albero di Natale.

Con “Banana Skin Shoes”, Badly Drawn Boy ha ritrovato la spinta ideale (a dire il vero mai sopita a parer mio) per raccontare anche dopo lunghi anni di assenza le sue sensazioni con leggerezza e freschezza che sempre   lo hanno caratterizzato e a far si, quindi, che questi quattordici brani possano essere alla lunga ricordati.

Photo credit: Adam Kerfoot-Roberts