Glenn Donaldson, componente di The Art Museums   e Skygreen Leopards   con Donovan Quinn, continua a creare musica, con quello che lui stesso definisce il suo progetto più personale, e lo fa con questo ” You Might Be Happy Someday ” che, nei toni e nella ricerca musicale, paga un dazio alla dogana degli Smiths (oh no, ancora loro) e dei Belle & Sebastian.

Glenn si allontana quindi dalle sperimentazioni psych-pop dei   Skygreen Leopards,   avvicinandosi ad un sound più familiare e per questo più immediato, finendo inevitabilmente con il ricordare band tanto amate.

Non che questo approccio sia una nota di demerito, anzi, questo senso di leggera depressione, che permea l’ album (già  preannunciata nel suo titolo “You Might Be Happy Someday”), ci fa sapere che un giorno potremo essere felici, sottintendendo però il fatto di non sperarci troppo: in fondo tutto questo non ci dispiace.

Giusto per essere chiari   non è solo il sound che si muove nelle paludi della felicità  accennata e sfuggevolmente “smithsiana , brillando ovviamente in modo minore rispetto ai fuochi d’artificio del fottutissimo Marr, ma sono anche i testi ad avventurarsi nei solidi (ma instabili) terreni del romanticismo decadente e dei sentimenti così leggeri e allo stesso tempo così importanti, con titoli che preannunciano momenti di solitudine “Last Summer In A Rented Room”,   latenze di   conflitti familiari “Your Parents Were Wrong About You”, incastri di situazioni evitabili   “Desperate Parties”, momenti che non saranno silenziosi e grigi come le domeniche ma ci vanno vicini.

Spesso l’album si anima con un jangle pop giocato sui riff di chitarra come avviene per “Half-a-Shadow”, accompagnata da un coro femminile che non vuole certo rivitalizzare la voce pacata di Glenn ma anzi vi si adegua quasi in modo triste, e soprattutto per la title track “You Might Be Happy Someday”, qui occhio che Marr potrebbe chiedere la royalty.

The Reds, Pinks And Purples finiscono con il preparare una tavolozza di colori autunnali, in una tristezza fatta di piccoli turbamenti, di una solitudine autoimposta, di occasioni mancate, in una costruzione musicale che in fondo ha il suo fascino e si lascia ascoltare piacevolmente, soprattutto in brani come la deliziosamente triste “Forgotten Name ” , la disperata “Desperate Partie ” e la title track   “You Might Be Happy Someday” che infine accende una speranza (o forse no).

Questo è un album al quale vale la pena dedicare un ascolto, un insieme di brani che nella loro “allegra malinconia” potrebbero incontrare il favore del pubblico più empatico e sensibile: ragazzi, c’è una nuova band da seguire.