10. SORRY
Anywhere But Here
[Domino]
La nostra recensione

Il debutto dei londinesi Sorry li aveva messi sulla mappa delle nuove band britanniche da seguire con attenzione, ma è in questo secondo disco (registrato a Bristol con Adrian Utley dei Portishead) che si vede tutto il loro potenziale: un collage di chitarre nervose, elettronica spettrale e melodie malinconiche che rifugge le definizioni e apre nuovi orizzonti.

9. CATERINA BARBIERI
Spirit Exit
[light-years]

Dopo quello di Lorenzo Senni due anni fa, ecco un altro disco elettronico italiano capace di giocare ad armi pari con i migliori nomi a livello mondiale. Caterina Barbieri usa i synth modulari per costruire cattedrali gotiche di suono, dove i bassi rimbombano tra le navate e gli arpeggi echeggiano come gargoyle incastonati a decine di metri di altezza.

8. KING PRINCESS
Hold On Baby
[Zelig]

Ci sono dischi che arrivano al momento giusto e ai quali ci si affeziona, quelli sui quali ti ritrovi a premere play ancora ed ancora. Pop radiofonico eppure venato da un filo rosso di inquietudine e malinconia, il secondo LP di questa ventitreenne di Brooklyn ha voglia di far festa ma è ancorato ai traumi del passato, come l’ultima strana estate post pandemica.

7. THE SMILE
A Light for Attracting Attention
[XL]
La nostra recensione

Come fare a scrollarsi di dosso le aspettative che il mondo nutre verso ogni disco dei Radiohead? Elementare, Jonny, deve aver detto Thom Yorke al fido compare Greenwood: facciamo un disco dei Radiohead in incognito. Non ce ne vogliano Philip Selway, Ed O’Brien e Colin Greenwood, qui assenti, e neppure l’ottimo Tom Skinner chiamato a presiedere ai tamburi, ma più che un side project questo album sembra un trucco da illusionista per ingannare il pubblico e se stessi, ritrovando libertà  creativa.

6. HURRAY FOR THE RIFF RAFF
Life on Earth
[Nonesuch]
La nostra recensione

La storia di Alynda Segarra è già  fuori dal comune: identità  non binaria, origini portoricane, residente nel Bronx prima e a New Orleans poi, dove ha fondato il progetto Hurray for the Riff Raff, dedicato ai “tipi strani e ai poeti, alle donne ribelli e alle attiviste”. Dopo vari dischi ispirati al folk e alla tradizione americana, questo debutto su Nonesuch è un gioiello che trascende quelle coordinate e mostra una voce unica, punk e melodica, politica ed empatica.

5. KING HANNAH
I’m Not Sorry, I Was Just Being Me
[City Slang]
La nostra recensione

Uno dei debutti più interessanti dell’anno, il duo di Liverpool ha confezionato dodici tracce che si rifanno smaccatamente agli anni ’90 più noir, quelli di Portishead e PJ Harvey, ma li declinano con una leggerezza e autoironia che ricordano Courtney Barnett e Kurt Vile. La voce profonda di Hannah Merrick e i riff ipnotici di Craig Whittle, più una sezione ritmica minimale, sono tutto quello che serve a trasportarci in un irresistibile road trip.

4. BARTEES STRANGE
Farm to Table
[4AD]

Nel singolo “Cosigns” Bartees Strange si vanta delle sue nuove amicizie tra il gotha dell’indie: Phoebe Bridgers, Lucy Dacus, Courtney Barnett, Justin Vernon. Ma forse dovrebbero essere loro a ringraziare di aver incontrato sulla loro strada un talento talmente esuberante. Il musicista nato in Inghilterra, cresciuto in Oklahoma e residente a Washington D.C., firma il suo secondo album e il primo per 4AD, confermando di essere l’unico in grado di tenere insieme in modo coerente indie rock, hip hop ed emo.

3. NILàœFER YANYA
Painless
[ATO]
La nostra recensione

Quello che colpisce di Nilà¼fer Yanya è l’abilità  nel prendere ingredienti che il nostro cervello riconosce come familiari (le chitarre radioheadiane, i synth chillwave), e ricombinarli fino a renderli irriconoscibili come in un filtro di Instagram. Non rimane nulla di nostalgico o derivativo, solo la personalità  di un’artista irrequieta e determinata che sembra appena all’inizio del suo cammino.

2. ROSALàA
Motomami
[Columbia]

La pop star che non ci meritiamo ma della quale abbiamo bisogno, Rosalà­a riempie i palazzetti di mezzo mondo senza una concessione all’algoritmo, rivendicando un’integrità  artistica totale, e conquistando fan dall’età , genere e gusti musicali più disparati. Il fatto è che in “Motomami” ogni dettaglio è perfetto, ogni canzone superlativa: dalla bachata di “La Fama”, alla ballata osè di “Hentai”. Da ogni angolo la si guardi, Rosalà­a riesce nell’impresa impossibile di coniugare sperimentazione, accessibilità  e addirittura divertimento. Forse è soltanto molto brava.

1. BLACK COUNTRY, NEW ROAD
Ants From Up There
[Ninja Tune]
La nostra recensione

La verità  è che non mi aspettavo un capolavoro dai Black Country, New Road, e mi sbagliavo. Sapevamo che il collettivo inglese era maestro nel realizzare maestosi castelli di carte, rutilanti improvvisazioni klezmer, ma un album capace di farti piangere, ridere, sprofondare e risorgere? Dal primo ascolto è stato chiaro che qui c’erano tutti gli ingredienti di una pietra miliare, ancora prima del drammatico annuncio di Isaac Wood di aver lasciato la band una settimana prima dell’uscita del disco. C’è un intero universo dentro a queste dieci canzoni, personaggi che ritornano, allusioni misteriose e tumulti interiori fin troppo chiari. Come in una palla di vetro con la neve, la metafora usata da Wood in “Snow Globes”, Ants From Up There costruisce un mondo in miniatura e ci invita a guardarlo sempre più da vicino, fino a che non ne diventiamo parte, e la magia si compie.