Dopo oltre 5 anni è tornata una band che senza dubbio ha segnato il mondo dell’alternative rock americano, e anche mondiale. I Paramore presentano un nuovo lavoro, più maturo sicuramente del precedente del 2017 “After Laughter”, rimanendo ancorati saldamente ai loro pilastri di sicurezza.

Credit: Zachary Gray

“This Is Why” è sicuramente un bell’album, non nella sua interezza ma invece nelle sue piccole gemme un po’ disseminate. Con uno stile più asciutto, la band di Hayley Williams ha portato al pubblico un disco che non è perfetto, ma che sicuramente convincerà il gregge di fan.

Anticipato da ben tre singoli, l’hype era già salito alle stelle fin dall’inizio: “This Is Why”, prima traccia omonima di questo album, si distingue per il suo riff da ritornello ben congeniato, con uno studio quasi maniacale per le pause, i beat della batteria e gli up & downs che sanno farti andare come sulle montagne russe facendoti vivere un bel giro; “The News”, il secondo singolo, già è un piccolo riferimento al primo passato della band poiché è proprio nel ritornello che ritroviamo tutta l’energia dei Paramore; terzo ed ultimo, “C’est Comme ça”, è un chiaro riferimento ad una delle band a cui si ispirano questi tre ragazzi, ovvero i Bloc Party la cui influenza è molto presente in questo pezzo dalle chitarre, alla voce, al testo fino alla batteria.

Il sesto album finora è un un bel prodotto, ma cosa succede con le altre tracce? Si perde un po’ il flusso andando avanti, quasi che il disco vada calando sempre di più. E sto parlando dal punto di vista strumentale, per quanto riguarda i testi li trovo assolutamente brillanti in ogni canzone. “Big Man, Little Dignity” sembra essere un po’ la pausa da tutte quelle chitarre delle prime tre tracce, una canzone insipida che non dice niente. Il tutto ritorna un po’ con “You First” che anche qui si rifà tantissimo ai Bloc Party per poi perdersi, però, con la traccia subito successiva “Figure 8″. La pausa continua anche con “Liar”, una ballad che avrebbe avuto tantissimo potenziale (magari la classica esplosione dopo la calma) ma che non viene sfruttata a pieno. A completare l’album, con “Thick Skull” ci ritroviamo nella stessa atmosfera della canzone prima, ovvero “Crave”, un mix tra ballad e riffata dietro l’altra che anche qui non vuole sfruttare il potenziale che oggettivamente potrebbe avere.

Proprio con l’ultima canzone non ci aspetteremmo la fine di queste 10 tracce, molto corte e per un totale di durata inferiore ai 40 minuti. Per carità, ognuno può fare l’album della lunghezza che vuole (un po’ come i film, sia chiaro), ma magari la prossima volta daje dentro tutta. L’impressione è che non si volesse osare tanto, che fosse questo un esperimento per un futuro sicuramente grandioso a venire.