Compie trent’anni “Scenes From The Second Storey”, l’album di debutto dei dimenticatissimi God Machine. Il ricordo di questo sfortunato trio statunitense, nato e morto all’inizio degli anni ‘90, sopravvive ormai quasi esclusivamente nella testa di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerli quando erano ancora in attività. Il che è un vero peccato, considerando la qualità molto alta dei due dischi prodotti dal gruppo guidato dal cantante e chitarrista Robin Proper-Sheppard.

Ad accompagnare l’artista californiano – che, dopo la breve esperienza coi God Machine, andò a fondare i ben più longevi Sophia – c’erano i suoi conterranei Austin Lynn Austin (batteria) e Jimmy Fernandez (basso), scomparso prematuramente nel 1994 per un’emorragia cerebrale. Tre americani che non trovarono particolari fortune a casa loro ma divennero figure di culto in Inghilterra e in buona parte degli altri paesi europei, dove i tredici brani di “Scenes From The Second Storey” riuscirono a fare breccia nei cuori degli amanti dell’alternative rock con la forza di un bisonte, la potenza di un carro armato e la violenza di un pugnale infilato nel petto.

La musica dei God Machine era intensa, oscura e pesantissima. Pesante oltre ogni possibile limite. Un’unione impura, malata e disperata tra heavy metal, grunge, noise, post-hardcore, stoner, psichedelia e slowcore, ulteriormente sporcata da elementi simil-crossover/proto-nu metal (“She Said” e “I’ve Seen The Man” hanno il groove devastante del miglior funk metal) e persino da qualche sfumatura etnica. Non è da escludere l’ipotesi che i piccoli ma incisivi tratti di world music che caratterizzano “Scenes From The Second Storey” (il coro di voci femminili che apre l’epica “Home”, i ritmi tribali che rendono ancor più caotico l’inferno strumentale di “Temptation”) abbiano influenzato i Sepultura di “Roots”. Questo per dire quanto alla loro epoca fossero innovativi i God Machine, un gruppo di rottura che si trincerava dietro un muro di suono spesso e inscalfibile
I mattoni di metallo incandescente che compongono il lungo ed estenuante “Scenes From The Second Storey” hanno forme di ogni tipo. Si passa dalle chitarre ipnotiche dell’acidissima “Dream Machine” allo sconforto più totale che avvolge “The Blind Man”, un brano di cupissima tristezza che inizia con un arpeggio di chitarra acustica semplice ma straziante.
Il ritmo ossessivo di “The Desert Song” si pone a metà strada tra il post-punk e l’industrial; le atmosfere rarefatte che tingono di depressione le note di “It’s All Over”, “Out” e dell’infinita “Seven” (quasi 17 minuti di durata!) sono figlie di quello slowcore che, all’epoca, godeva di ottima salute.

Il vero miracolo dei God Machine sta nell’esser riusciti a costruire un imponente monumento alt metal come “Scenes From The Second Storey” con una formazione ridotta all’osso. Un trio dal suono grosso ma profondo, furioso e al tempo stesso delicato.
Nella voce di Proper-Sheppard c’è tutto il dolore di chi è stanco di nascondersi per la vana attesa di giorni migliori. Dalle sue urla e dal suo cantato melodico emana un’umanità sofferente ma vera, pronta a esplodere da un momento all’altro dietro la spinta della fortissima tensione che attraversa tutto il lavoro.

I barlumi di dolcezza che illuminano i commoventi minuti iniziali di “Purity”, dove la scena è riservata a un quartetto di archi e a una chitarra acustica, vengono spazzati via non appena prorompe una fragorosa rete di feedback sulla quale si ripete quasi senza sosta un mantra di mesta solitudine (It’s the same all over/You were never there).

Un luogo disabitato ma pieno di caos: è qui che possiamo immaginarci i God Machine di “Scenes From The Second Storey”. Tre giovani uomini che danno sfogo alle loro passioni e paure in un’opera mastodontica in tutti sensi: perché è pesantissima, perché è molto bella, perché dura un’ora e venti e perché include tutti gli aspetti degli miglior alternative di scuola ‘90s. Un gioiello ingiustamente scivolato nell’oblio che purtroppo risulta fuori catalogo da anni: su Spotify non ve n’è traccia, ma parecchie copie usate in CD, cassetta e vinile sono in vendita su Discogs. L’acquisto è consigliato.

Data di pubblicazione: 23 febbraio 1993
Tracce: 13
Lunghezza: 78:00
Etichetta: Fiction / Polydor
Produttori: The God Machine
Tracklist:

  1. Dream Machine
  2. She Said
  3. The Blind Man
  4. I’ve Seen The Man
  5. The Desert Song
  6. Home
  7. It’s All Over
  8. Temptation
  9. Out
  10. Ego
  11. Seven
  12. Purity
  13. The Piano Song