Henry Laurisch, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

La prima estate sembra aver un po’ sostituito nei nostri cuori Ferrara sotto le stelle, ormai caduto un po’ in disgrazia. L’anno scorso i National, quest’anno gli Alt J. Entrambi i gruppi già ospiti in passato della rassegna estense. Certo, da Bologna era più comodo arrivare a Ferrara e la location era un’altra roba. Ma questo è.

Non chiedete di token, prezzi di panini, qualità del cibo, file per entrare ecc. Siamo arrivati al parco BussolaDomani già mangiati e bevuti (tributo a Nino Manfredi) e ci siamo accomodati nel settore garden (soldi ben spesi, eravamo vicinissimi al palco) quando l’esibizione di Chet Faker (forse la sua cosa migliore è il nome) era circa a metà. Onestamente niente di memorabile. Canzoni buone da sottofondo o poco più.

Quando la luce cala è il momento della band inglese. Il primo pezzo è “Bane” ed è proprio la quintessenza degli Alt J, perfetto per entrare in sintonia con Joe Newman e soci. Seguono “Every Other Freckle”, “In cold Blood”, “The Actor” e “Deadcrush”. Ma è il momento di buttare giù i carichi pesanti da “An Awesome Wave“. Prima “Tassellate” poi “Matilda” e “Something Good”. Intervallate da due buoni pezzi dall’ultimo “The Dream” (“Chicago” e “U&Me”).

La prima volta che avevamo ascoltato gli Alt J eravamo stati sorpresi dalla pulizia stilistica sul palco, sembrava di ascoltare un disco. Stasera Joe Newman (con un look tricologico alla Zucchero e un camicione nero con cerchi bianchi buono per andare contromano, a piedi, in una strada buia dell’Essex) è meno preciso, ma la performance non ne risente affatto. Anche grazie ad un Gus Unger-Hamilton strepitoso, alle tastiere, allo xilofono e come seconda voce.

Poi arriva “Nara”, che per me è la loro perla assoluta. Ancora meglio con lo sfondo di ciliegi in fiore mutanti alle loro spalle. A tal proposito non si possono che spendere belle parole per le immagini e i giochi di luce portati sul palco. E anche per le riprese del festival che venivano trasmesse su megaschermi ai lati del palco (anche a beneficio di chi era più indietro) con una regia mai banale e una qualità delle immagini strepitosa. Poi il terzo e ultimo da “Relaxer” (“3WW”), album poco riuscito e suonato più del solito stasera, la celestiale “Bloodflood”, la bella “The Gospel of John Hurt” e “Philadelpia”.

Fino a qui sarebbe un bel concerto. Ma è con gli ultimi sei pezzi che gli Alt J cambiano marcia. Grande intensità e tutto il pubblico che risponde presente. “Taro” è magnifica (recuperate la storia del brano se non la conoscete), “Dissolve me” e “Fitzpleasure” non sono da meno. Dopo il break la danzereccia “Hard Drive Gold”, la smorfiosa “Left Hand Free” e “Breezeblocks” che ci chiede “Please don’t go, please dont go…” e invece ce ne andiamo. Molto soddisfatti.