Credit: Michele Brigante Sanseverino

Uno sciamano elettrico è così che potremmo definire Thurston Moore: il suo noise-rock extrasensoriale, le sue divagazioni soniche, le sue accattivanti distorsioni spazio-temporali, nonché la sua esaltante capacità di adattare la propria musica a quella che è la consistenza fisica ed emotiva dei luoghi e degli scenari, nei quali propone il proprio show, ha reso, anche ieri sera, nella suggestiva cornice del borgo di Oliveto Citra, una potente testimonianza di vitalità, d’amore e di energia.

Gli anni ’80 e ’90 sono ormai un approdo irraggiungibile, ma il Disorder Festival – uno dei festival che meglio sta crescendo, in questi anni post-pandemici, e meglio sta assolvendo al compito sociale, oltre che musicale, di scoprire nuovi territori, nuove prospettive, nuove testimonianze, nuovi orizzonti geografici e artistici – si trasforma nel punto focale di un set che prescinde le tensioni negative che attanagliano il nostro presente e trasforma, con il suo approccio rumoristico ed intimista, ogni istante in un momento di bellezza, di pace, di riflessione, di armonia collettiva, di preziosa fragilità emotiva.

Astrazione e realtà camminano assieme, per una volta, oltrepassando i bagliori metallici, le chitarre minimali, le fantasie targate Sonic Youth, gli echi, i riverberi e le influenze riconducibili ai Velvet Underground, le aperture di matrice avanguardista, free-jazz e krautrock, lasciando, alle idee e ai sentimenti, la libertà di scorrere, finalmente, dove più gli aggrada, senza che argini, divieti, obblighi e sovrastrutture artificiali tentino, in tutti i modi possibili, di riportare questa intrigante ondata rock and roll nel letto della normalità, della banalità, della superficialità, delle scelte facili, delle politiche ispirate, unicamente, dal guadagno e dal compromesso. 

L’obiettivo di Thurston resta, sempre, il medesimo, ovvero sconfiggere il male; un male che, però, ha imparato ad essere subdolo, a nascondersi dietro ciò che appare giusto o corretto; non aspettiamoci più, dunque, il fascista, con i suoi simboli e le sue svastiche, con i suoi inni feroci e i suoi atteggiamenti violenti, questa è solamente la caricatura utile ad un sistema politico ed economico, molto più crudele, ostile, bellicoso ed invasivo, che tende a distorcere la realtà dei fatti e a farci vivere in un mondo di diffidenza e di terrore, così da spingerci ad affidarci alle loro cure, alle loro leggi speciali e ai loro meccanismi di controllo.

Probabilmente una chitarra non basta, anche se le sue melodie spaziali ci entrano dentro, mentre lo sguardo sereno dell’artista americano scivola sui fogli adagiati sul suo leggio e il concerto diventa una narrazione art-rock della nostra umanità, della sua grandezza e delle sue passioni, ma anche delle sue colpe e delle sue stupide e rabbiose aberrazioni, facendo sì che il confine tra canzone e rumore, tra buio e luce, tra passato e futuro, diventi sempre più indefinito, più labile, più elastico, più osmotico, più no-wave.