Stian Schløsser Møller, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il ritorno del boss in Europa, dopo tanti anni dall’ultima volta, almeno sette, rimane sempre l’evento degli eventi e la data di questa sera al parco della Gerascia all’interno dell’autodromo nazionale di Monza, chiude, di fatto, l’ennesimo tour trionfale del rocker del New Jersey, per l’estate italiana è l’evento più importante in assoluto, ragionato e pensato da Barley Arts, da oltre un anno da, per chiudere al meglio il ritorno di Bruce Springsteen, a quasi quarant’anni dalla primissima volta.

Terzo concerto nel nostro paese dopo quelli di Ferrara al parco Urbano e al Circo massimo di maggio.

Ci sono le abituali tre ore di palco o giù di lì, oltre le venticinque canzoni in scaletta per una grazia infinita di Springsteen e la E Street band, di chi ha costruito una carriera nell’arte del non risparmiarsi, dove la musica non è mai stata solo un mestiere, ma una missione e un messaggio da portare più in là possibile e la voglia di condividere con il proprio pubblico l’ultima energia disponibile in corpo: il Boss ne farà settantaquattro a settembre, che se ci mettessimo a fare confronti con alcuni coetanei, ci sarebbe da sorridere, un probabile caso di studio, perché tenere concerti di questa portata è uno sforzo enorme.

Parco sistemato a tempo di record, rimasto anche inaccessibile per qualche giorno, dopo gli ennesimi nubifragi di questa pazza estate, ma alla fine è arrivato il sereno e nonostante decisioni dell’ultima ora su un possibile cambio di programma, tutto si è svolto nella norma, senza disagi e non avrebbe avuto senso un eventuale cambiamento.

A differenza degli altri appuntamenti ruotano invece i guest a supporto (prerogativa di questo tour come mai in passato), quindi partono gli australiani Teskey Brothers a metà pomeriggio, orologio alla mano, esattamente per le 16,31, puntualissimi salgono sul palco, man mano che l’area va riempiendosi, sono una coppia di fratelli dediti ad un rock blues classico, quasi una voce alla Otis Redding, otto musicisti, compresa una sezione di fiati, per una manciata di brani dal profumo tradizionale, accolti con sincero affetto, suonano circa quarantacinque minuti.

Quindi l’eccentrica Tash Sultana, che ritorna in Italia dopo il tour dello scorso anno, che passò anche da Milano, al Magnolia, dove registrò il tutto esaurito, con i suoi loop costruiti in solitaria e in tempo reale ovviamente, quindi senza l’abituale band a supporto, sempre interessante e comunque insolita, suona tutti gli strumenti e, per chi non l’avesse mai vista, c’è anche l’effetto sorpresa.

Dopo i graditi ospiti arriva Bruce Springsteen, che per le 19,50, con la consueta presentazione, arriva sul palco di Monza.

Per chi l’avesse seguito in maniera quasi ossessiva, decine e decine di volte, il fatto che abbia scelto una scaletta dall’ossatura quasi condivisa in toto per tutto il tour, è cosa strana, sapere cosa aspettarsi non faceva parte del dettaglio non trascurabile del concerto del Boss, che a questo giro, ha optato, quindi, di essere più canonico e meno imprevedibile di altre volte, l’ossatura è appunto la medesima, sebbene ci sia qualche piccola variante.

Agli albori dell’apertura l’inno di “No Surrender”, che era la più indicata ad iniziare il filotto, una canzone per e sull’amicizia, un invito universale per uno dei brani più amati, pescherà molto da quel “Born in the U.S.A.”, citando le altre date, praticamente suonato per intero, il disco più popolare, fatto solo di singoli, di una discografia sterminata e monumentale, non solo per il numero di brani, ma proprio perché ha attraversato e respirato generazioni, quanto le storie più contrastanti di una America dai mille volti.

Dopo una bellissima “Ghosts”, dall’ultimo album di inediti del 2020, il ventesimo, quel “Letter to you”, ispirato e sincero dopo tanti anni di musica, quindi “Prove it all night”, da un altro caposaldo, “Darkness of the edge of Town” di cui si festeggia il quarantacinquesimo compleanno, disco fondamentale per la storia della carriera di Springsteen e da questo altro masterpiece, arriverà “The Promise Land”, subito per altro dopo “Letter to you”, “Out in the street”, dal capolavoro per eccellenza “The River” appunto è il primo vero segnale di quello che è anche un concerto del boss, un’idea di senso di apparenza e divertimento, i cori e la festa sonora diventano realtà con questa canzone, la title track del citato disco doppio del 1980, arriverà poco dopo per la solita ed intensa lezione di brividi per la regina delle ballate.

“Kitty’s Back” punto immancabile di questo tour nella sua suite lunghissima di intrecci di strumenti, che anticipa il sing-a-long di “Mary’s place” e “Johnny 99″ dall’altro masterpiece “Nebraska”, prima appunto della già citata “The River” e di una toccante “The Last Man Standing”, eseguita chitarra e voce, con l’introduzione di Bruce con tanto di traduttore simultaneo per non perdere alcun dettaglio, canzone per l’amico di sempre venuto mancare qualche anno fa, con il quale condivise l’inizio di tutto, quei Castiles, sua prima band.

La straordinaria “Backstreets” o l’osannata e strepitosa “Badlands” a chiudere, idealmente, la prima parte del concerto, perché non ci sono pause, e i bis non sono altro che un susseguirsi di montagne russe sonore straordinarie, con le immancabili hit, che hanno segnato la storia della musica e che difficilmente potrebbero rimanere fuori, anche solo per regalare nuove emozioni a chi, come il sottoscritto, vedeva Bruce Springsteen per la prima volta.

Inni come “Born to run”, “Glory Days”, “Bobby Jean”, o l’introversa e brillante “Dancing in the dark” tutte di seguito proiettano chiunque in un’altra dimensione, e al di là di gusti, pensieri, è praticamente impossibile non commuoversi per un concerto di queste proporzioni.

Una band ulteriormente in stato di grazia, 18 elementi compreso Springsteen, una famiglia che da decenni, marchia a fuoco le estati in musica di più continenti, un popolo di fedelissimi che risponde a dovere, come se fosse una vera e propria esigenza di fede, il concerto del boss, non è solo uno show, un’evasione dalla vita di tutti i giorni, ma si ha proprio la percezione di essere ad un ritrovo collettivo, una filosofia.

Più generazioni insieme nello stesso pomeriggio, come quella bambina in transenna con in mano un cartello “Bruce it’s my glory day”, talmente bello e surreale, che diventa storico per la sua ancora breve memoria, quando il boss le regala l’armonica appena suonata.

La serata si chiude con “I’ll see you in my Dreams” con un uomo solo e la sua chitarra acustica e 70000 persone adoranti, spente le luci, ancora qualche secondo di buio per una fascia luminosa di saluto ed un arrivederci al più presto, con la sensazione che già la prossima estate, ci sarà ancora l’evento degli eventi a fare da padrone.