Si sono tolti la snervante aurea dell’anonimato con il terzo disco, che non avrà portato loro folle oceaniche, ma ne ha certificato, appunto, un certo passo verso la consacrazione o almeno la considerazione, quindi la presenza in molte line up dei festival più importanti e un tour da headliner che ha visto, anche in Italia, una buona affluenza, locali piccoli, ma esauriti in prevendita, e questo è, di solito, un punto di partenza significativo.

Credit: Steve Gullick

Quindi la bizzarra decisione di pubblicare un disco nuovo a soli cinque mesi da questo fortunato precedente, operazione che forse così bizzarra non è, penso ai Big Thief, che nel 2019 beneficiarono non poco della realizzazione di due dischi in un anno solare, operazione scelta, su tutt’altri binari, anche dagli stessi The National quest’anno. Di fatto rimanere in circolazione con continuità o, parafrasando un proverbio storico, battere il ferro finché è caldo.

Che poi era prerogativa, per esempio, negli anni 80, pubblicare album almeno ogni anno.

Comunque tornando ai Bar Italia, scelgono, come per il precedente, la presenza di Marta Salogni in consolle, produttrice che da Brescia è arrivata sul tetto del mondo, lavorando con artisti del calibro di Depeche Mode e Bjork, quanto diventata figura rilevante e gettonata, oltre ad avere ricevuto premi di categoria. Insomma una gran bella storia, anzi forse la storia principe per un addetto ai lavori italiano.

Venendo al disco nuovo “The Twits”, sono state preservate le caratteristiche della band di Londra, che recupera, a spron battuto, un sound anni 90, con lo stesso approccio di certe produzioni del re mida (ancora oggi) Steve Albini. La loro forza, oltre ad un approccio diretto e senza fronzoli, di cui, a scadenza, se ne sente anche necessità in un’epoca di digitalizzazione a 360 gradi, sono le canzoni e l’ottima simbiosi delle tre voci.

Fondamenta dei seminali Sonic Youth, un tocco di revival alla Strokes, e un pò di brit pop, sono i loro ingredienti.

L’album in questione, anticipato da tre singoli, mantiene inalterate le peculiarità, un pò per scelta, un pò per la ravvicinata lavorazione, la famiglia sonora è la stessa, ma con una taglio diverso, più sperimentale, nelle melodie, l’altro lato della medaglia di questo fortunato periodo.

La sfrontatezza di non volersi ripetere, dopo un disco, praticamente, “pop” come “Tracey Denim”, la volontà di scrivere canzoni meno dirette e popolari, più introverse e ricercate.

E’ un disco non difficile, ma che richiede qualche ascolto in più.

Ci sono ugualmente capitoli, che arrivano l’attenzione prima di altri, penso a “Calm down with me” , che sembra possa essere annoverata tra le tracks preferite dell’album precedente, con un ritornello killer.”Hey Beautiful Boy”.

O come la ballad “Twist”, con sempre la voce di Nina Cristante in primo piano, sbilenca e fuorviante.

Ma anche “Worls Greatest Emoter”, non a caso, scelta come singolo, con un imprinting garage, senza girarci troppo intorno, o la claustrofobia ballad acustica “Jelsy”.

Un disco, che per background, mi è piaciuto meno del precedente, ma sono sicuro che crescerà con gli ascolti, ho apprezzato molto, andando a ripetermi, questa personalità acquisita nel non scendere a patti di nessun genere, quindi fare di una sincera istintività un dogma ben preciso per questo secondo lavoro in pochi mesi.