Sembra un gioco di cabala tutta l’operazione legata a questo nono disco del dj e produttore britannico, già dal titolo e soprattutto dal rimando alle mosse da scacchiera che affiancano i titoli delle canzoni, come se ogni pedina di “LXXXVIII” fosse un calcolo , un risultato di uno studio razionale , metaforicamante una risposta ad una richiesta di movimento non solo fisico, ma interiore.
Fuori di metafora, le canzoni sono le migliori risposte che Actress potesse fornire per tracciare e proporci la fotografia attuale del proprio rapporto coi tempi inquieti che stiamo vivendo, e lo fa attraverso una serie di composizioni banalmente identificabili come frutto di un pensiero tradotto con strumenti elettronici, considerato che tutto si può dire di questo album fuorchè non vi sia un’anima, in modo che quasi all’istante successivo all’ascolto si possa connotare, più di qualsiasi altro genere, l’umore ideale che sovrasta il presente.
Ci troviamo di fronte ad un impasto che alterna dance a volte soffocata sullo stile Burial, da dietro la porta del club per capirsi, a volte scaraventata addosso, come se la stessa porta fosse aperta di scatto e ci trovassimo già sul dancefloor, quando invece si passa a canzoni dalla scrittura misteriosa che a volte si liberano in fantastiche code di piano dai risvolti di uno stile alla Sakamoto (“Hit That Spdiff ( b 8 )”), a volte rimangono cupe e insidiose, come se l’insieme evocasse un personale viaggio notturno dentro e fuori la realtà, dove l’umanità è presente solo attraverso voci mascherate, quasi sbiascicate, in un incrocio fra incomprensione e assenza, dove l’impossibilità relazionale si rispecchia in lunghi momenti di riflessioni personali, che nel loro incedere minimale prendono la forma di un doom digitale che si muove all’interno della coscienza.
Actress riesce pertanto dove molti colleghi falliscono, a creare musica di percezione senza l’immediatezza ognipresente di un ritmo incalzante, ma rimanendo in bilico fra lentezza e scuotimento in medias res, come pedine appunto, frammenti che ricomposti generano lo schema di un percorso fra i gangli dell’oscurità di un ipotetico passeggero, un individuo metropolitano, frastornato dal groove ma emotivamente molto lontano dall’atmosfera dance, nell’incertezza di essere alle prese con una serata sbagliata in cui dietro la volontà di divertirsi si cela la ricerca forzata dell’evasione dal vuoto cosmico o viceversa con un momento di riflessione, dove ai troppi pensieri rimuginanti fa fronte un sano e puro desiderio di sballo.