Credit: Michele Brigante Sanseverino

Giovanni Truppi torna a Napoli, sua città natale, sul palco caldo ed accogliente del piccolo Teatro Bolivar, con uno spettacolo fatto di minuscoli oggetti, di ricordi familiari, di ombre taciute, di riflessioni spiazzanti, spesso divertenti, che, oltre a donarci un salvifico e prezioso sorriso, ci aiutano a strappare via quel velo di sotterfugi, di compromessi e di falsità sotto il quale nascondiamo le verità più scomode.

Un viaggio attraverso le sue canzoni, recenti e meno recenti, mentre la chitarra, il piano e la batteria permettono alle infinite e molteplici possibilità che la vita ci offre di irrompere in sala e materializzarsi dinanzi ai nostri occhi increduli: non dobbiamo, per forza, odiarci; non dobbiamo, necessariamente, combatterci; non dobbiamo, obbligatoriamente, scegliere l’isolamento digitale, rinunciando, di conseguenza, a qualsiasi azione di controllo, di vigilanza e di critica verso i nostri governanti, verso le nostre istituzioni, verso quei partiti politici – anche quelli che dovrebbero essere più vicini alle persone più fragili ed indifese – che, oggi, tendono ad essere, sempre più, delle scatole vuote con cui persone senza scrupoli fanno i propri interessi e quelli dei propri amici.

Allora, se è questa la realtà dei fatti, accettiamola, non illudiamoci che basti il nostro sciocco egoismo per essere felici; riprendiamoci il possesso di tutto ciò che, dall’economia alla diplomazia, dalla giurisprudenza al lavoro, può rendere questo mondo un luogo migliore.

Ci troviamo a Materdei, a due passi dal celebre cimitero delle Fontanelle, un luogo magico e misterioso, nel quale la morte assume una consistenza familiare e quotidiana, arrivando a dialogare con i vivi, ad ascoltarne le richieste più banali e le preghiere più profonde, trasformandosi, quindi, in una sorta di nume protettivo, di sorella maggiore, di spirito guida al quale chiedere conforto contro l’infelicità che dilaga per le strade delle nostre città e dei nostri paesi. Un’infelicità che anche Giovanni Truppi pone al centro delle sue riflessioni musicali; l’artista, sovente, si trova a vivere un dissidio interiore tra quella che è la sua favorevole condizione e quella che è, invece, una realtà di sofferenze, di torti, di rinunce continue e di tante piccole e grandi solitudini. Ma anche noi, se vogliamo, se tentiamo, se ci attiviamo, possiamo fare la differenza, possiamo essere l’appiglio saldo, possiamo essere il sostegno per coloro che stanno cercando qualcosa, per coloro che noi stessi stiamo cercando, per coloro che ascoltano le nostre parole o la nostra musica e, persino, per noi.