Then it looks so real I can see it
And it feels so real I can feel it
And it tastes so real I can taste it
And it sounds so real I can hear it
So why-y-y can’t I touch it?
So why-y-y can’t I touch it?

The Buzzcocks

La distanza massima che l’Uomo Vitruviano di Zack Snyder potrà  mai raggiungere si misura nell’apertura di un braccio teso a toccarci (Spettro di Seta che si scaglia contro lo schermo e manda in frantumi con un sol colpo l’intera complessa impalcatura dell’architettura perfetta del Dottor Manhattan): possiamo essere qui e altrove, su Marte oggi ad isolarci dall’Universo, sulla Luna a guardare Neil Armstrong sbarcare, o dietro lo steccato a Dallas ieri a sparare a John Kennedy (e tutto nell’arco dei 4 minuti di “The Times They Are A-Changin'” di Dylan), ma la distanza massima e minima insieme tra due esseri umani (Leonida e Serse, Andy l’armaiolo sul tetto e Ving Rhames nel centro commerciale nel folgorante “L’Alba Dei Morti Viventi”) ““ e tra il Cinema e i nostri sguardi ““ resta sempre quella che si può calcolare nell’arco del gesto che la annulla ““ o la crea (la lancia di Leonida alla fine di “300”…). Avevamo occhi (due, come le Torri): ora non li abbiamo più (il cratere finale al centro di New York parla chiaro) ““ sono esplosi in mille frammenti.

Non è un caso allora se il personaggio di Ozymandias nella sua mastodontica base antartica sia assorto di fronte ad un muro gigantesco costellato da un gran numero di televisori che trasmettono ognuno programmi diversi: tra tutti gli Watchmen, lui è uno dei pochi ad avere lo sguardo libero ““ come dimostra la folle lucidità  del suo grande piano. Tolta infatti Spettro di Seta, personaggio-chiave che però ha paura di guardare (anche nei suoi ricordi), e la figura tutta snyderiana del Comico che però ha il tipico sguardo preveggente del personaggio morto, gli altri eroi del film o hanno una maschera che nasconde gli occhi (Gufo Notturno con i due enormi occhialoni neri a raggi X: solo quando li indosso riesco ad avere una visione chiara…), o nel caso del formidabile Rorschach non hanno addirittura un volto, sostituito da un sudario bianco su cui macchie nere mutano continuamente di forma (sublime l’istante in cui, infilandosi la maschera, l’eroe chiede allo psichiatra che lo aveva appena sottoposto al test omonimo Dottore, dimmelo tu adesso, che cosa vedi?) ““ oppure mancano proprio di pupille, come Dottor Manhattan che ha due orbite bianche attraverso le quali continua, incessante, a scrutare il tempo per dissezionarlo e ricostruirlo, dare a quelle milioni di viti e pulegge vaganti e sparpagliate le fattezze concilianti di un orologio svizzero.

Dunque in assenza di occhi, vanno affinati gli altri sensi (è questo, il paradigma del cinema di Snyder): è così che “Watchmen” continua con assoluta coerenza lo studio scientifico delle collisioni tra i corpi messo in atto dal regista nell’arco delle sue tre pellicole ““ l’attenzione maniacale alle conseguenze dei colpi sferrati sugli arti dei nemici, sulle ossa che si spezzano, sulle carni che si squarciano, fa il paio con la descrizione particolareggiata dei contatti evitati: e quant’è fantastica allora in quest’ottica quella scena di sesso lunare insistita, quasi softcore, tra Malin Akerman e Patrick Wilson…davvero un interesse tutto anatomico che spinge Snyder a denudare sempre il più possibile i suoi personaggi, sino all’ovvia conclusione che se non esiste sguardo che ormai non sia del tutto interno (se dunque non esiste lo spazio all’infuori di noi), allora è perchè lo sguardo stesso si è incarnato nei corpi (del Cinema): che fine ha fatto il Sogno Americano?, chiede Gufo Notturno al Comico, che ha appena sterminato un’intera folla di rimostranti che non rappresentavano alcun reale pericolo. “Si è avverato”, è la risposta dell’eroe-clown. E proprio sull’avverarsi degli incubi, sul materializzarsi delle paure e delle paranoie, sull’incarnarsi in un unica figura (qui il Comico, lì l’emblematico Jack Fate) dell’intero immaginario d’America, l’opera di Snyder si rivela alla fine sorprendentemente vicina ad un film malauguratamente diretto dal pessimo Larry Charles ma scritto ed interpretato nel 2003 proprio da quel Bob Dylan chiamato in causa per ben tre volte (“The Times They Are A-Changin'”, appunto, sui titoli di testa; “Desolation Row” su quelli di coda; e come strizzata d’occhio addirittura “All Along The Watchtower” durante il film) lungo una colonna sonora che inanella anche Leonard Cohen, Simon & Garfunkel, o KC & the Sunshine Band; personalissimo e sgangherato trattatello sull’inevitabilità  dell’Apocalisse e sulla sua sua sotterranea, seducente bellezza, con un titolo che già  da solo lo pone vicino alla poetica di “Watchmen: Masked and Anonymous” ““ mascherato e anonimo, come lo sguardo di questi eroi dannati che hanno visto la realtà  dietro la menzogna reiterata attraverso i tempi come base della civiltà , e dunque per punizione hanno perduto per sempre gli occhi.

Locandina
Regia: Zack Snyder
Sceneggiatura: David Hayter, Alex Tse
Interpreti: Malin Akerman, Billy Crudup, Matthew Goode, Jackie Earle Haley, Jeffrey Dean Morgan, Patrick Wilson, Carla Gugino
Fotografia: Larry Fong
Montaggio: William Hoy
Origine: USA, 2009
Durata: 163′

TRAILER: