Il 14 Febbraio del 1900, un gruppo di giovani studentesse del collegio Appleyard si dirige a Hanging Rock per un picnic: festeggiano l’amore, dicono ““ to Saint Valentine!
Durante il corso del pomeriggio, quattro di loro si allontanano per scalare il complesso roccioso – indossano vestiti inadatti, pizzi, merletti fino alle caviglie, ma si tolgono le scarpe, e salgono su, sempre più su, a piedi nudi ““ come trascinate dalla montagna stessa, dal suo insondabile magnetismo. Delle quattro ragazze, solo una riuscirà  a tornare per dare l’allarme: le sue compagne non vogliono tornare indietro e lei non sa cos’è successo, non sa più parlare. Un’altra verrà  ritrovata giorni dopo ““ delle ultime due, nessuna notizia, più.

è la storia di “Picnic at Hanging rock” di Weir, del 1975, è la storia del libro della Lindsay. Questa è una storia inventata, che continua a sembrare vera, il cui margine finzionale è troppo basso, dove le domande non si possono spegnere: dove sono? Dov’è Miranda? Cosa c’era lassù?

Il 4 Febbraio 2013 esce “The Man Who DiedIn His Boat”, e questa è la storia di una bambina che se ne va a pesca con suo padre e mentre è a largo di Agate Beach, incrocia una barca vuota ““ non rovesciata, non affondata, semplicemente vuota: l’uomo che la manovrava è scomparso, svanito nell’aria sottile delle acque dell’Oregon. Una favola oscura, un ricordo che pare definito, ma che sfugge alle parole, alle domande: chi era the man who died in his boat? Quali sirene lo hanno catturato?

“The Man Who DiedIn His Boat” è una raccolta di outtakes di Grouper, risalenti all’epoca di “Dragging a dead deer up a hill”; più che raccolta di scarti, a me pare, è un album gemello, compiuto in se stesso ““ niente rimanenze assemblate o fondi di archivio (o meglio, magari fossero questi i fondi d’archivio, gli album di rarities). Un album bello e di cui faccio fatica a parlare ““ perchè è come se le parole sfuggissero: tutto quello che Liz Harris fa, riesce a farlo senza dover praticamente dire niente, un folk senza lirica, fatto di voci, di invocazioni e evocazioni; mi ritrovo un po’ come la ragazza sfuggita all’incanto di Hanging rock ““ come spiegare quello che vedo e quello che sento, se tutto questo non ha parole? Come posso spiegare “Cloud in places” o il magnetismo di un pezzo fatto d’aria e vapore come “Differences (voices)”?

Se con “A I A” potevamo davvero fare riferimento alla religione, alla mistica dello spazio e la musica delle sfere, lassù in alto, dove salivano i suoni, dove attingeva il drone folk della Harris, con “The Man Who DiedIn His Boat” non ci discostiamo dai suoni di “Dragging a dead deer…”: più nudo, meno stratificato, dove, sì, ancora si può usare la parola celestiale, ma che appare più vicino a una musica da camera suonata in una chiesa deserta, che alle evocazioni di “A I A”, così dense e eteree da non avere corpo. Così “Living room” è riportata a una dimensione essenziale, minimale, dove la voce e le parole ritrovano addirittura posto. E poi ci sono le punte di diamante di questo album, come “Cover the long way” (la migliore, la sorella di “Heavy water/I’ll rather be sleeping” dell’altro disco) o “Towers”: in perfetto equilibrio, non riusciamo a distogliere gli occhi.
La musica di Grouper potrà  forse peccare di poca varietà : ma è della varietà  di cui abbiamo bisogno, quando abbiamo un disco come questo?

In una recente intervista Liz Harris racconta di un sogno fatto quando era piccola: dei fantasmi volano nella sua stanza e lei capisce che l’unico modo per calmarsi è guardarli negli occhi, farsi rapire dalle traiettorie dei loro voli ““ una situazione inquietante e ipnotizzante, come le sue canzoni; hanno quel fondo sinistro in cui ci rannicchiamo, da cui ci lasciamo cullare ““ uno sleeping with ghosts, insomma. La stessa sensazione di rapimento che devono aver provato le ragazze a Hanging rock, di coesione e elevazione improvvisa, il “vanishing point” in un mondo parallelo che si spalanca, che è divino, che è demoniaco, che forse è umano (qui si apre una domanda ““ perchè tutti i college femminili dei film assomigliano a delle “Satan’s school for girls”? I demoni ambigui dell’adolescenza femminile, ma non è adesso il momento per parlarne). E Liz Harris stessa sembrava una di quelle ragazze nella cover di “Dragging a dead deer…”: una fotografia della sua infanzia, lei travestita da strega ““ pronta per un sabba che è solo una festa in maschera; così in “The man…” lo sguardo è perso altrove, una foto che a ogni occhiata sembra meno decifrabile, meno familiare. Come questo disco ““ non ascoltatelo troppo da vicino o siete persi.