“Inferno” è il settimo album di Robert Forster che segue “Songs to Play” uscito quattro anni fa. 61 anni portati più o meno bene e ancora tanta voglia di scrivere nuove pagine di un libro, il suo, che contiene altri nove capitoli scritti con Grant McLennan. Con lui fondò i The Go-Betweens che furono inconfutabilmente esponenti di spicco dell’Indie Rock australiano. Tredici anni fa Grant è purtroppo prematuramente scomparso e Forster ha scritto un libro di memorie, intitolato ” Grant and I” per celebrare gli anni trascorsi con il grande amico e compagno di un viaggio musicale così autorevole ed importante.

Registrato a Berlino con il supporto di Victor Van Vugt (PJ Harvey lo ha pure richiesto come produttore) che aveva curato i suoni del suo primo album da solista, quel “Danger in The Past” che uscì proprio nel 1990, anno del primo scioglimento della band di Brisbane. Nove sono i brani contenuti nel disco che ha nell’eleganza il suo segno caratteristico. Forster si avvale del sostegno di ottimi musicisti come i polistrumentisti Scott Bromley e Karin Bà£umler, del batterista Earl Harvin (Tindersticks) e Michael Mà¼hlhaus (Blumfeld, Kante) alle tastiere. L’album si apre con un brano cupo “Crazy Jane On The Day Of Judgement” il cui testo si rifà  ai versi del poeta William Butler Yeats, una tormentata ballata dove s’intreccia un dialogo tra Forster e la moglie Karin Bà£umler, dove le richieste e le illusioni di lei di vivere un amore che coinvolge corpo ed anima, si alternano con risposte di un lui poco romantico, più avvezzo alle sensazioni istintive e materiali di una relazione.

Dopo l’ascolto del primo brano, chiunque di noi avesse voluto cercare nell’accompagnamento musicale un aiuto per catturare emozioni positive, sarebbe sicuramente tentato di sostituire l’album di Bob con qualcosa di decisamente più allegro. Ma il consiglio è di superare il primo scoglio perchè a partire dalla successiva “No Fame” i ritmi si alzano e l’atmosfera diventa decisamente più rasserenante e distesa, qui si inizia ad assaporare il Forster più Rock, disinvolto e goliardico. Il suo rifiuto della fama, sottolineata nel coro “non ho bisogno di notorietà ” mentre racconta di un passato “scriverò una storia ambientata cento anni fa “ci fa conoscere un uomo completamente slegato dalle regole del gioco, in un continuo celarsi, eclissandosi da ogni classificazione. La voce sorniona, quasi da crooner di Robert è ben accompagnata dal resto della band che riesce ad adattarsi ed assumere le forme più diverse. Pianoforte, archi, violini e tastiere avvolgono e vestono i brani in modo esemplare. Prendiamo “Life Has Turned A Page”, una bossanova con bonghi e organo che difficilmente Forster avrebbe pensato e realizzato in quel modo.

Tra Nick Cave e Lou Reed l’album ci regala momenti di assoluta delicatezza ed anche quando l’energia sale lo fa sempre in modo gentile, a tratti premurosa. La conclusiva “One Bird in the Sky” è il migliore dei commiati, con il violino della Bà£umler a donare raffinatezza ed eleganza ad un brano stupendo, giusto finale per un album da apprezzare in ogni sua sfaccettatura.