I Liars fanno parte di quel ristretto numero di band per le quali si manifesta simpatia incondizionata in quanto da subito e nel corso oramai dei decenni di onorato calco dei palcoscenici hanno destato nella mente dell’ascoltatore attento un sentimento di sorpresa e curiosità , sensazioni che oramai connotano in modo indelebile la storia del gruppo, anche in modo ambivalente, con i pregi ed i difetti che la ricerca continua di nuovi scenari può apportare in termini di esiti della qualità  della proposta, ma tant’è, è sempre una questione di prendere o lasciare, a volte le ciambelle non riescono col buco, ma di fatto questa idea di band in perenne movimento è riuscita con riscontri positivi a superare i detrattori del primo momento, che parlavano di improvvisazioni senza fondamenta, mentre il tempo ha dato ragione alla loro idea di musica.

Tutto questo per dire che in verità  con questo “The Apple Drop” siamo ad un nuovo inizio per una band che non è più una band ma il progetto esteso dell’unico membro fondatore rimasto, il cantante e chitarrista Angus Andrew, che imperterrito pur prosciugato dall’abbandono degli altri componenti, continua con questo album da dove i Liars sono sempre partiti, uno spazio musicale ossessivo ed ipnotico alla ricerca degli abissi , una zona oscura e riflessiva che penetri il buio della mente come suggerisce la inequivocabile copertina, come un felino che morbido attraversa impassibile e possente le tenebre di un bosco.

Avvalendosi di uno sparuto ma eclettico numero di musicisti, Andrew compone un quadro fosco di canzoni che come ha dichiarato in una recente illuminante intervista, ripercorrono a spirale le diverse influenze storiche dei Liars, dalla new wave britannica, ad un certo aplomb da camera, dall’ossessività  delle percussioni ai tormenti dark più nobili, rimanendo con queste 11 canzoni in un territorio familiare lodevolmente amalgamato, dove le asprezze di un tempo sia in termini di bizzarra eterogenia delle composizioni che in parte configurava i primi album della band, si erodono a favore di una maggiore compostezza degli arrangiamenti; il che non vuol dire che questo non sembri un disco dei Liars, anzi,   è proprio il risultato della rotazione che a spirale riporta in auge i suoni cari al gruppo in una versione però attualizzata, un art rock adulto tutto sommato originale ed attrattivo. Si sente che Andrew è a suo agio, con questo timbro alla Thurston Moore, con le idee chiare su un album che cresce ascolto dopo ascolto, perchè ricco nei brani apparentemente più facili, di sfumature come il drumming incalzante o certi sentori orientali.

Ce ne sono diverse dimostrazioni in “The Apple drop”, i vuoti e pieni della minacciosa “Slow and turn Inward”, l’incedere “sonico” di “Big Appetite” col finale esplosivo, la migliore dell’opera, ma in generale non ci sono cadute o momenti sottotono, emerge un’idea di felice conquista di un quasi romanticismo cupo, dove alle suggestioni di una maggiore abbordabilità  si affianca un’irrequietezza inestricabile ma quasi comune, segnale iconoclasta delle origini, in un connubio interessante e prodomo a sviluppi futuri in questo senso, di un autore costantemente in piena libertà , mai così consapevole.

Credit Foto: Clemens Habicht