Quanti anni saranno che non mi capita per le mani un disco marchiato Black Out? Non riesco a darmi una risposta. E con i Verdena, quanto tempo è passato? Ricordo benissimo di aver acquistato il loro esordio il 12 ottobre 1999, prodotto da Giorgio Canali, un revival del grunge che era ancora dietro l’angolo, la barba che ancora non c’era, i capelli ancora tutti scuri (ho iniziato presto, per la verità , ad ‘incanutire’). E poi gli Ep, uno all’anno; “Solo Un Grande Sasso” (solo col tempo capirò), ma sono loro? Manuel Agnelli alla produzione non pago del disastro di Club Privè; del “Suicidio dei Samurai” non ricordo nulla, ero da un’altra parte (il post-rock, l’indie americana, home dolce Homesleep), eppure l’avevo comprato; “Requiem” no, troppo nero, vuoi mettere gli Animal Collective?

Insomma, tra i Verdena e me un buco lungo un decennio eppure scoprire che i tre ragazzi non sono cambiati per niente: ad Alberto la barba non è voluta crescere, Luca ha sempre i capelli lunghi e Roberta ha lo stesso identico viso. I musicisti no, sono molto diversi, molto cresciuti, evoluti direi ed evidentemente hanno conquistato un ‘peso’ di tutto rispetto, un seguito di pubblico tale da potersi permettere dei gran lussi. Ad esempio un doppio album, imposto alla casa discografica major, in piena crisi di vendite, singoli neanche a parlarne, un suono che più anacronistico non si può, riferimenti dichiarati ed espressi, ad aver fortuna, di trent’anni fa.

I Verdena sono una band “importante”, molto rispettata, ma che non fa sistema, non è inserita in nessuna scena, non ci sono ospiti illustri nell’album ma solo loro amici, come si deduce dai ringraziamenti finali nel libretto dove non compare nemmeno un nome di band nostrane, cosa a cui non ero più abituato. “WOW” è stato completamente scritto e (quasi del tutto) suonato da Alberto, Luca e Roberta, affiancati da collaboratori esterni solo per quanto riguarda gli strumenti più “classici”; per il resto i tre si cimentano con tastiere, sintetizzatori, macchine varie e pure una bella fisarmonica.

Lo stesso Alberto ha curato produzione e registrazione, facendo un lavoro egregio perchè l’album è densissimo di voci e suoni (marchio di fabbrica la voce tenuta ‘bassa’ a farsi strumento tra gli altri), generi che si accavallano a creare uno stile personalissimo ma che rimanda l’ascoltatore più navigato a sensazioni lontane nel tempo. Il ‘luogo del delitto’ è il solito Henhouse Studio, il mitico ex-pollaio di casa Ferrari, dove i ragazzi si sono chiusi per quasi due anni e dal quale è uscito un disco che rimarrà , perchè ha un grande spessore artistico, in quanto frutto di lavoro e ispirazione.

Impossibile analizzare i brani singolarmente, e dire che ce ne sono di bellissimi, ma “WOW” è un viaggio bellissimo, che una volta concluso si vorrebbe ricominciare subito, come da bambini sull’ottovolante. Eppure qui si rimane sempre molto in alto in quanto a sensazioni (personali) ed ispirazione (della band) e l’unico commento che mi viene a chiusura del tutto è, appunto, Wow!