Consiglio per l’estate: armatevi di santa pazienza e recuperate, come volete, i tre volumi della Strut Records Nigeria ’70. Cioè, a dir la verità ci sarebbe da saccheggiare mezzo catalogo della Strut, perchè di operazioni filologiche come le loro ben pochi le sanno fare. Ma restando nello specifico, il curatore Duncan Brooker non delude neppure questa volta, illuminandoci ancor di più sul fatto che, retorica banalotta a parte, la musica è davvero un mezzo universale che riesce ad unire posti con anni luce di distanza grazie al beat giusto o allo spirito non troppo dissimile.
Il sottotitolo già la dice lunga: “Sweet Times: Afro Funk, Highlife & Juju from 1970s Lagos”. Rispetto ai due precedenti volumi (e ripeto: procurateveli, davvero) il passo si affretta ancor di più, trovando un trait d’union dai ritmi, chitarristici e non, più tradizionali e le sonorità che, potere del tempo, stavano lentamente approdando sulle coste del continente Madre/Padre di tutti noi: funk, rock, soul. Sarà per lo “spirito nero” che a New York come a Lagos girava e gira nel sangue, ma il risultato è davvero sorprendente. Un afrobeat generale tinto di una vena psichedelica, quasi involontari sentori “kraut” a tratti.
Alcune highlights, da segnare assolutamente: il funk acidissimo di “Unity In Africa” di Eji Oyewole, la cavalcata psycho-afro di “It’s Time For Juju Music” di Admiral Dele Abiodun & His Top Hitters International, le chitarre bellissime di “Henrietta” di Ali Chukwumah.