10. VERDENA

Wow
[Universal]

Forse la miglior band italiana in circolazione, di certo la più ispirata, ha dato alla luce un disco immenso, registrato completamente in analogico, denso, distorto, sporco eppure cristallino. Come cristallino è il talento di questi tre artigiani del suono che, da anni, procedono lungo un percorso di crescita che lascia senza fiato e che merita applausi scroscianti. Disco che continua a crescere e non accenna a stancare. (Gianluca Ciucci)

Ascolta Razzia Arpia Inferno e Fiamme

9. DESTROYER

Kaputt
[Merge]

Tutto sembra così facile e terribilmente sexy tra le volute disincantate dell’ultima creazione di Dav Bejar aka Destroyer. Perso in sudati sogni di playmate anni ’80, sintetizzatori e chitarre elettriche, il menestrello canadese produce un album quantomeno originale, vivo, ricco di spunti, saccheggiando a piene mani tra immaginari patinati da night club di provincia e fumose spirali del più incisivo soft rock americano delle ultime due decadi. Verrebbero in mente i Wilco, ma se ci mettessimo a parlare anche dei Soft Cell non è che saremmo poi tanto lontani dall’obiettivo. “Kaputt” è tutto e niente, lo si può odiare quanto amare, ma in tempi di congestione da dubstep e fenomeni (da baraccone) tutti internettiani, dischi del genere non devono passare inosservati. (Giuseppe “Joses” Ferraro)

Ascolta Chinatown

8. EX-OTAGO

Mezze Stagioni
[autoprodotto]

Più che un disco, un sussidiario illustrato della giovinezza di chi era adolescente dieci/quindici anni fa ed ora si trova suo malgrado a vivere gioie & dolori dell’età  adulta. Produzione impeccabile, testi da lacrime agli occhi, grande personalità : sono pronti per il grande pubblico, speriamo solo che qualcuno se ne accorga. Se lo meriterebbero davvero. (Federico “Accento Svedese”)

Ascolta Costa Rica

7. BATTLES

Gloss Drop
[Warp]

Musicalmente sono dei giganti ma non te lo fanno mai pesare perchè affrontano la vita con grande ironia. Non hanno paura a sperimentare ma lo fanno sempre col sorriso sulle labbra, e questo è un disco che cresce ascolto dopo ascolto fino ad arrivare a staccare di parecchi punti il precedente (e pure validissimo) “Mirrored”. La scelta di ripartire da zero dopo l’abbandono di Ty Braxton ha fatto più che bene alla band americana. (Federico “Accento Svedese”)

Ascolta Ice Cream

6. TV ON THE RADIO

Nine Types Of Lights
[Interscope]

Arrivati al quarto studio-album i newyorchesi Tv On The Radio sembrano maturare e, paghi di una meritata tranquillità , sfornano il loro album più coeso e pop.
Le fughe avanguardiste, la bellissima urgenza espressiva e le profonde radici balck che caratterizzavano i lavori precedenti convivono tutti insieme in questo “Nine Types Of Light”: cinquanta minuti scarsi in cui la band di Tunde Adebimpe inanella canzoni memorabili e, tramite attenta mediazione, sfoggia una rara felicità  compositiva. Tanto di cappello a loro, come sempre.
(Nicolò “Ghemison” Arpinati)

Ascolta Second Song

5. JAMES BLAKE

James Blake
[Atlas]

Per molti l’esordio di James Blake è macchiato da una colpa irrimediabile, aver sdoganato un genere relativamente di nicchia come il dubstep a vantaggio delle commesse più accorte. Questo disco di musica sintetica con più cuore che cervello dimostra, tuttavia, che l’eleganza non è sempre inaccessibile, per chi guarda dal basso. Raffinato, seducente e ambiguamente democratico. (Claudia Durastanti)

4. ELBOW

Build A Rocket Boys!
[Double Feature]

Una lenta folgorazione, se mi si concede il paradosso. Un album che ci ha messo diversi ascolti per rivelarsi in tutta la sua magnificenza. Elegante e concreto allo stesso tempo, il nuovo lavoro degli Elbow necessita di una dose di pazienza e predisposizione alla scoperta graduale. Una volta entrati dentro le sue maglie non c’è più campo. Per fortuna. (Enrico “Sachiel” Amendola)

3. LOW

C’Mon
[Sub Pop]

Una carriera sbalorditiva quella della creatura di Alan Sparhawk e Mimi Parker, fatta di dischi straordinari, di qualità  e ispirazione superiore. Con “C’mon” tornano a casa, sia per quanto riguarda la logistica delle registrazioni sia per lo stile, quindi Duluth e slow-core, ritmi lenti e distorsioni violente. Se cercate il cuore pulsante d’America non lo troverete lontano da qui. (Gianluca Ciucci)

Ascolta Especially Me

2. BON IVER

Bon Iver
[4AD]

Probabilmente -e secondo molti per fortuna- Bon Iver non sprizzerà  mai gioia da tutti i pori ma questo disco è fino ad ora la versione più felice, ottimista e fiduciosa della sua musica. Justin Vernon esce dal guscio, fuori dalle stanze di “For Emma”e ci offre il suo sguardo sul mondo con istantanee in musica. Intenso, coinvolgente e maturo, Bon Iver sa cambiare senza smentirsi. (Laura Lavorato)

1. PJ HARVEY

Let England Shake
[Island]

Poche chiacchiere, PJ Harvey è l’ultima icona alternativa al femminile anni 90 ancora credibile e “Let England Shake” ne è la tangibile prova. Il miglior disco di questi primi sei mesi di 2011 è un concept sulla guerra e sulla Gran Bretagna di oggi, cantautorato rock à  la Nick Cave e testi d’impatto (I’ve seen soldiers fall like lumps of meat / blown and shot out beyond belief / arms and legs were in the trees racconta PJ in “The Words That Maketh Murder”, macabra e affascinante nella miglior tradizione dell’artista inglese), ritmi ansiogeni e trascinanti che accompagnano l’ascoltatore nell’inquietante visione bellica di Polly Jean. (Marco D’Alessandro)

Ascolta Sunrise”