Ben Frost è uno strano personaggio. Australiano di nascita trapiantato in Islanda per inseguire le mille tentazioni della sua anima inquieta, non si è mai accontentato di essere solo un musicista. Un’ etichetta che ha sempre rifiutato non tanto con le parole ma con i dischi fatti e quelli prodotti, le mille collaborazioni, le colonne sonore realizzate (“Sleeping Beauty” e “Sólaris”, l’opera “The Wasp Factory”). Ben Frost insomma è un artista a tutto tondo, un compositore abile nel fondere le strutture della musica classica con l’elettronica, arrivando perfino ad accostarsi alle sensazioni forti del metal. Amato da Brian Eno e da Michael Gira, ha prodotto “The Seer” dei The Swans e “Virgins” di Tim Hecker.

Quella di Frost è musica elettronica non celebrale ma fisica, muscolare, dark, intensa, vagamente inquietante, che intimidisce e conquista con le sue trame meticolosamente rifinite, le geometrie precisissime e i cambiamenti repentini. Una musica che negli anni è stata in grado di unire sperimentazione e minimalismo in modo creativo e spesso del tutto inedito. “Aurora” arriva dopo il catartico “By The Throat” uscito nel 2009 ed è un disco in cui Ben Frost abbandona parzialmente il sound del passato rinunciando a chitarre e pianoforte, sostituiti dalla fredda luce dei sintetizzatori.

Un album aggressivo suonato con precisione teutonica da Frost, magistralmente coadiuvato da Greg Fox (ex Liturgy), Shahzad Ismaily e Thor Harris (Swans), che evoca immagini di distruzione e lotta per la sopravvivenza alternando paesaggi ghiacciati e impietosi (“No Sorrowing”, “Sola Fide”) a improvvisi momenti di maestosa vitalità  (“Nolan”, “Secant”). Note inquiete e frammentate che sembrano suonate da macchine con l’anima. Ogni particolare ha una sua funzione specifica: i SILENZI, i rumori appena percepibili, gli enormi spazi vuoti distribuiti ad arte.

“Aurora” documenta l’ennesima evoluzione del trasformista Ben Frost, camaleonte dell’elettronica che si diverte a esplorare di continuo nuovi territori. Un disco che lascia addosso una sensazione diversa rispetto a “Black Marrow” o al già  citato “By The Throat”, che avvolgevano l’ascoltatore trascinandolo dentro un mondo parallelo tutto da scoprire. Tiene spesso a distanza, impedendo di perdersi completamente nella musica, come una regina altezzosa consapevole del suo fascino e proprio per questo ancora più interessante da corteggiare e conquistare.

Credit Foto: Salar Kheradpejouh