Sarà  il tempo che scorre ed inesorabilmente mi avvicina ai quaranta, non ne sono sicuro, ma ho un certo rigurgito nostalgico di quella che fu la mia adolescenza, quando ero disposto ad affidare ad una band le sorti del mondo. In realtà  tutto questo accadeva fino ad una manciata scarsa di anni fa, mentre oggi sono disposto soltanto ad affidare le sorti di un mezzo pomeriggio o al massimo di una giornata iniziata col piede sbagliato. I Built To Spill possono “fregiarsi” dell’onore di essere tra queste band. Come tra compagni di calcetto nelle sere più difficili ci si affida al compagno più bravo, capace di non perdere il pallone che scotta e a far quadrare i conti sul campo, così ci si può avvicinare ad un album sicuri che non ci deluderà  al netto degli anni che passano per tutti, anche per i nostri idoli.

Doug Martsch non tradisce le attese e ci ripresenta una band rinnovata nella sezione ritmica, che riesce a smarcarsi dal precedente e un po’ sotto tono “The Is No Enemy”, disco di oggettiva qualità  che, per inciso, non convince solo se rapportato alla precedente discografia. Quindi “Untethered Moon”, album che gira parecchio nel mio lettore (le classifiche di last fm non mentono) ed è subito gioia. Non quella da strapparsi i capelli, anche perchè mi mancherebbe la materia prima, ma quella che si vive quando ci si ritrova tra vecchi amici, con qualche ruga in più, gli occhi più scavati dala stanchezza, le risate di sempre e la sensazione piacevole e rassicurante di non essersi mai persi di vista. Il disco non si può fregiare della qualità  di un “You In Reverse” del 2006 (gli esordi non possono essere paragonabili senza fare un torto ai Built To Spill di oggi), ma gira bene tra rock melodico, accelerazioni improvvise e una costruzione dei brani mai banale e “dritta”.

Un marchio di fabbrica, quello di Martsch e soci, che non sfigura i propri lineamenti e che invecchia bene al netto di qualche passaggio un po’ stanco. Sono pronto a scommettere che brani come il primo singolo “Living Zoo” , il pop elettrico di “Never be The Same” o la cavalcata distorta “So”, per citare alcuni dei passaggi migliori, gireranno ancora a lungo nel mio lettore, tra rinnovata malinconia e voglia di rimettersi in gioco.