Come quando un ragazzino si sveglia di notte e, girando da solo per la casa, al buio, si ritrova senza accorgersene a scappare da un ombra lunga, o fare un appostamento ad uno scricchiolio sospetto; trasformando piccoli banali normalissimi dettagli in mondi paralleli, magici e spaventosi. O come quando a scuola arrivava la sesta ora e non si riusciva più a seguire la lezione e, lentamente ma inesorabilmente, la mente si allontanava dalla realtà  del qui e ora, per veleggiare ovunque spingessero i pensieri e le sensazioni di quell’istante. Se esiste un margine tra reale e irreale, un’intercapedine da attraversare, uno spazio-cuscinetto, quello è il luogo in cui vorrebbero portarci i Gengahr.

Dovessi metterli in un’unica parola, i Gengahr sarebbero fantasmagorici. Ovvero capaci di suggerire “immagini, colori e suoni che colpiscono vivamente la fantasia”. Ma anche fantasmagorici nell’accezione non estesa, originaria del termine, ossia come “successione di immagini proiettate dalla lanterna magica”. Perchè la lanterna magica 1. è magica. 2. funziona al buio 3. il buio spesso significa notte e notte vuol dire anche oscurità /mistero/fantasmi/altri mondi. E la musica dei Gengahr, un po’ nei suoi testi (“Dizzy ghosts”, “She’s a witch”), molto nel suo suono peculiare, ha qualcosa che evoca incantesimi, streghe e spiritelli. Ma più à  la Beetle Juice che in stile horror vero e proprio. Perchè se la punta di horror c’è (“Fill my gums with blood”, pezzo definito bene da NME come “a vampiric love song”), resta innocua, leggera, non spaventa, ma anzi, occhieggia piuttosto allo humor. Il dramma semmai lo rintracciamo nei vecchi umanissimi problemi che, lanterne magiche a parte, permangono: la solitudine di “Lonely as a shark”, le complicazioni amorose di “Dizzy ghosts”.

La lanterna magica, si diceva; dalla quale si irradiano figure che spesso finiscono distorte su armadi, muri e lampadari. Un’ulteriore affinità  con la band londinese che per i suoni storti e allungati deve avere una certa simpatia. Come dimostra anche la cover dei Fugazi apparsa qualche giorno fa sulla loro pagina Soundcloud. Una “I’m so tired” che suona un po’ brilla e stiracchiata; meno mesta e più scanzonata. Tutto però, restando dentro agli argini del pop. Punto di forza dei Gengahr è infatti il riuscire ad essere melodici, restando al contempo sbilenchi e fuggevoli. Confezionare pezzi pop, dall’eco romantico-fantastico, senza rinunciare al gusto per il psichedelico e il dark. Penso a “Bathed in Light”, tre minuti circa di pezzo, racchiusi in una melodia circolare ed ipnotica che riesce a non stufare; o a “Powder”, una sorta di bisbiglio, suadente e vivace, nonchè perfetto esempio della combinazione tra il falsetto di Felix Bushe e la chitarra di John Victor; combinazione che, alternata a ritornelli orecchiabili, e arricchita qua e là  dei giusti coretti, sembra essere la chiave di questo disco d’esordio che, a dispetto dell’atmosfera sognante e trasognata, e della giovane età  del gruppo (quattro ventenni che manco a dirlo, hanno iniziato a suonare ai tempi della scuola) dimostra già  un’identità  ben delineata e funzionante.