Avevamo lasciato i Ducktails al loro esame di maturità  con il quarto album “The Flower Lane” (2013). L’esame tutto sommato andò bene: l’intento di Matthew Mondanile era quello di creare qualcosa di molto diverso dal progetto Real Estate, band della quale è chitarrista. Il sound diventò per la prima volta realmente riconoscibile. I primi lavori del progetto parallelo di Mondanile, seppur apprezzabili, non riuscirono così bene nel suo intento, in quanto accostati sempre alle atmosfere chill estive che contraddistinguono i Real Estate. Punto di forza sono però da sempre le melodie che Mondanile riesce a tirar fuori dalla sua chitarra. Il contesto con cui si potrebbe definire la sua produzione è quello di un bedroom dream pop, la presenza di sintetizzatori analogici e i testi pregni di melanconia sono le pareti della cameretta.

“St. Catherine” fa un piccolo balzo indietro rispetto a quello che “The Flower Lane” ha rappresentato nella produzione della band. L’introspezione dei testi si fa più profonda, come se Mondanile volesse intraprendere un viaggio esplorativo, rimanendo però sempre nella sua amata cameretta. L’album nasce durante il tour di “Atlas”, ultimo lavoro dei Real Estate, e la scrittura diventa la valvola di sfogo per il chitarrista tra una data e l’altra. Il brano d’apertura è la strumentale The Disney Afternoon, mai titolo fu più eloquente per farci metaforicamente accomodare nel salotto di Mondanile a sfogliare la sua collezione di dischi o magari a mettere su un VHS e guardarlo insieme. Nella camera c’è anche uno specchio, Matt ce lo racconta nella seconda e per me fondamentale traccia del disco, “Headbanging In The Mirror”, senza la quale l’album avrebbe preso senza dubbio un’altra direzione. Lo specchio è lo strumento magico con il quale l’artista si ferma e guarda indietro, agli ultimi anni, il trasferimento dal suo New Jersey a Los Angeles e il rincorrere un tempo che scorre sempre più velocemente di noi. Nella canzone una delle due principali collaborazioni del disco, quella con James Ferraro, musicista sperimentale di grande talento, con il quale riesce a creare un groove accattivante formato dall’unione di vibrafono, riverberi vocali e la sua inconfondibile chitarra.

La seconda collaborazione è quella con Julia Holter, che troviamo nell’eterea “Heaven’s Room”. Un sogno di un bambino ormai cresciuto che confessa i suoi peccati e le sue ansie, accolte dall’angelica voce di Julia. La parte finale del brano è una perfetta mescolanza di violini e gorgheggi porta il brano in una dimensione puramente spirituale. Atmosfera che ritroviamo in Church, dove invece le voci dei due si intrecciano perfettamente perdendosi in un paesaggio neoclassico che io mi immagino come l’immagine di copertina, e nella conclusiva Reprise.

Il collante lo porta Rob Schnapf, già  produttore di Elliot Smith, che porta il disco ad un gradino superiore dal punto di vista dell’equalizzazione del suono, semplice e essenziale, da notare come la batteria non appesantisca ma aiuti a far emergere ancora meglio la chitarra acustica, che rimane il pezzo forte della casa.
Se “The Flower Lane” ha sancito l’inizio della maturità  nel sound dei Ducktails, “St. Catherine” è sicuramente il degno completamento del processo.