La sindrome della testa che esplode (Exploding Head Syndrome) è un disturbo del sonno, che si manifesta con allucinazioni uditive spesso prima e dopo il sonno, al risveglio. Forti rumori intensi come un colpo di pistola o una forte esplosione immaginaria accompagnati da flash luminosi e paura che disorientano il soggetto.Se da una parte le cause e il meccanismo di tale disturbo restano ad oggi sconosciute, dall’altra sappiamo che il nuovo lavoro dei The Telescopes avrà  come il tema proprio questo tipo di inspiegabile fenomeno.

Una band a noi cara, che ci ha sempre incuriosito e stupito durante questi ultimi anni veramente molto prolifici per quella che è la vera e unica mente geniale della band, ovvero Stephen Lawrie.
“Exploding Head Syndrome” è l’undicesimo album in studio, creato interamente dallo stesso Lawrie immerso nella solitudine del profondo West Yorkshire, ad eccezione della traccia “Until The End” composta assieme all’amico Chris Plavidal (Stumptone), in memoria del cantante e chitarrista dei Bludded Head Nevada Hill .

E anche se il titolo suggerisce una esperienza sonora distorta e complicata, ruvida e pungente, in questo disco troviamo delle atmosfere nettamente diverse dai precedenti viaggi sonori della band. Forse più simile al più recente “Stone Tape”, l’album si sviluppa tra scenari calmi e dilatati, capaci di trascinarsi dal primo all’ultimo secondo. Un arte ben calibrata negli anni da Stephen Lawrie che sa come intrappolarci nella vasta rete di risonanze. Un vero e proprio viaggio attraverso dissonanze analogiche arricchite da una complessa corrente sotterranea di minimalismo pulsante, talmente semplice quanto profondo e invadente. La voce di Stephen rimane come al solito nelle retro vie sussurrante e ipnotica, avvolta in uno sciame mistico che ancora una volta riesce a conquistare l’ascoltatore, che resta quasi inerme e sotto incantesimo dalle otto tracce cantilenanti.

Un altro viaggio ultraterreno, un’altra storia raccontata nella loro maniera, anche se forse parlare al plurale non è propriamente corretto. Stephen Lawrie riesce anche questa volta a deliziarci tra suoni scomposti, atmosfere malinconiche e talvolta allucinogene, che riescono a farci amare fino in fondo questa ennesima e seducente opera d’arte.