Non mi sembrava vero di avere i The Telescopes ad un’ora e qualcosa da casa. Se qualche mese fa infatti mi ritrovavo a recensire il loro (a questo punto) penultimo album “As Light Return” (leggi la nostra recensione), ora avrei avuto la possibilità  di vederli live in uno dei posti più underground di Bologna.
Destinazione Freakout Club quindi, partenza alle 20.00 e velocità  moderata causa muro di nebbia. Arriviamo giusti alle 21.30, orario di inizio concerto segnalato dal locale. Al di fuori del locale una quindicina di persone fumano l’ultima sigaretta prima di entrare, decido di approfittarne ed entro a dare un’occhiata ordinando subito un paio di birre visto che il bancone è semivuoto. Qualche luce soffusa, una moltitudine di locandine attaccate ai muri graffiati tinti di nero e “Bleach” dei Nirvana in sottofondo che risuona nell’impianto ormai pronto per la serata. Il palco è già  zeppo di strumenti e la stanza principale di pochi metri quadrati resta semideserta nella sua buia intimità . Intravedo i rev rev rev, band Nu-shoegaze italiana che negli ultimi anni ha ricevuto diverse attenzioni di un certo rilievo soprattutto all’estero. Oltre ad aprire per i Telescopes sono anche alla fine del loro tour Invernale tra Inghilterra, Francia, Svizzera,Italia, e Austria. Mi avvicino al palco senza difficoltà  visto che la stanza è semivuota, sbircio la scaletta e le varie pedalboards ovviamente rase di pedali di vario genere. Ultimi ritocchi al banco del merchandise e i rev rev rev salgono sul palco.

Si parte con “Ripples”, brano contenuto nell’ultimo album “Des Fleurs Magiques Bourdonnaient”, e proprio quando vedo il chitarrista impugnare la leva del tremolo della sua Fender Jaguar in totale stile Kevin Shields, capisco subito che si fa sul serio. Da lì in poi la sala inizia a popolarsi di gente incuriosita e di certo attenta alle sonorità  ipnotizzanti della band. I quattro Modenesi tengono bene il palco, la gente lo capisce e si fa sotto mentre riverberi, flanger, distorsioni e dissonanze si mischiano creando un vortice di rumore che satura le orecchie dei presenti. Dopo 45 minuti scarsi la band chiude con il brano “A Ring Without an End” e lascia il palco mentre gli amplificatori, ancora accesi, alimentano un’orda di feedback pungenti e martellanti che intrappolano temporaneamente gli spettatori in un anello sonico senza fine, forgiato a puntino dai rev rev rev.
20 minuti di cambio nei quali i Telescopes capitanati da Stephan Lawrie salgono sul palco cercando di mettersi a proprio agio tra un imprevisto e l’altro. Cavi volanti che vengono piazzati alla meno peggio, un settaggio veloce agli amply, un controllo al “‘mic’ e i 5 Inglesi sono pronti per iniziare.

Con assoluto stupore mi accorgo che la sala è piena di gente e quasi quasi devo difendere il mio posto tra le primissime file guadagnato prima con assoluta facilità . Gruppi di ragazzi cercano di farsi spazio tra la folla ormai serrata quando all’improvviso un’ondata sonora satura l’aria circostante. Le teste dei 5 inglesi cominciano ad ondeggiare ritmicamente in una danza magnetica mentre le note di “We See Magic And we are Neutral, Unnecessary” mandano in visibilio la folla. Le urla nevrotiche di Stephen Lawrie sovrastano il tutto mentre la ritmica martellante e fissa non lascia spazio ad alcun tipo di variazione o fill che possa dar respiro ai brani. Distorsioni oscillanti e sature di gain, urla nervose e liriche semincoscienti, percussioni cicliche e stazionarie, i Telescopes hanno conquistato la folla ormai in trance. Quando si arriva al brano “You Can’t Reach What You Hunger” dal pubblico parte qualche fischio all’americana confermando che la maggior parte presente non è occasionale.

Non esiste un secondo di silenzio tra un brano e l’altro anzi, l’intreccio dei feedback continui crea un filo conduttore di rumore che unisce i brani dall’inizio alla fine dello spettacolo. Guardo l’orologio, siamo sull’ ora abbondantemente e infatti si arriva all’overture finale, difficile da anche se credo si tratti di “Handful of Ashes”. Il palco si svuota progressivamente mentre i musicisti lasciano il palco abbandonando gli strumenti che ancora risuonano impazziti. L’ultimo a scendere è uno dei due chitarristi che aggancia la chitarra direttamente alla cassa dell’impianto tramite la tracolla, assicurandosi così un feedback pungente ed infinito (well done!Vorrei stringerti la mano, ovunque tu sia). La folla è immobile davanti al palco deserto ma al contempo invaso ancora dai suoni degli amplificatori impazziti per le risonanze. Mentre Lawrie si va ad accomodare dietro al banco del merchandise(scena incredibile) la gente si risveglia dall’ipnosi che li aveva intrappolati e la stanza inizia a svuotarsi.

Il concerto è finito e “Bleach” ritorna ad uscire dalle casse ormai stuprate e saturate dalla performance (direi ottima) delle due band. Esco dal locale e torno in macchina a per prendere il mio 33 giri di “As Light Return”, torno dentro e mi dirigo dai rev rev rev anch’essi al banco assieme a Stephen. Colgo l’occasione per scambiare quattro chiacchiere e acquistare il loro disco che gentilmente autografano ringraziandomi per il supporto (onorevole). Allungo il mio pennarello argentato assieme al 33 giri a Stephen Lawrie , guadagnandomi così una stretta di mano e un disco autografato.

Vi siete mai chiesti che cos’è per voi l’underground? Per me è proprio questo.

Le Foto del live:


The Telescopes, Frakout, Bologna

 


The Telescopes, Frakout, Bologna


The Telescopes, Frakout, Bologna


The Telescopes, Frakout, Bologna


The Telescopes, Frakout, Bologna