Lo scioglimento all’inizio del 2013, l’effimera ma produttiva reunion con gli At The Drive-In tra il 2016 e il 2018 e, infine, il ritorno in grande stile della premiata ditta Cedric Bixler-Zavala / Omar Rodrà­guez-López. La coppia resuscita il moniker The Mars Volta per dare alle stampe un album spiazzante ma tutto sommato apprezzabile, destinato sicuramente a far discutere ““ e forse imbestialire – gli amanti di classici come “De-Loused In The Comatorium” e “Frances The Mute”.

Dimenticatevi il rock frenetico, visionario e pazzoide degli esordi, perchè i Mars Volta del 2022 non hanno alcuna intenzione di riaprire quella parentesi. Il nuovo corso della band è all’insegna di un progressive raffinato e maturo, ancora sperimentale ma molto meno imprevedibile ed eccitante rispetto al passato perchè addolcito da sonorità  pop e R&B ultramoderne (se non addirittura futuristiche).

A molti potrebbe sembrare una bestemmia accostare questi due generi a un gruppo che, ancora una quindicina di anni fa, flirtava col krautrock, il post-hardcore e la fusion e produceva pezzi praticamente interminabili (ricordo la mezz’ora abbondante di “Cassandra Gemini” sul grandioso “Frances The Mute”). Ma tutti gli artisti hanno il diritto di cambiare, non credete? E poi, non è che la prima fase della carriera dei Mars Volta sia stata monodimensionale.

Bixler-Zavala e Rodrà­guez-López, da buon esploratori musicali quali sono, non amano ripetersi. In questo caso hanno preferito reinventarsi e stupire con un comeback album che oserei definire scioccante nella sua normalità . Perchè il vero problema del lavoro in questione non sta nella sua difformità  con la produzione passata; il difetto principale ha a che vedere con una prevedibilità  che, alla lunga, tende a trasformarsi in noia.

Le caratteristiche intrinseche del sound dei Mars Volta, a dirla tutta, non sono poi cambiate troppo: la musica continua a essere densa, elastica e contaminata, con le consuete influenze latine a far la parte da leone. Il livello tecnico degli artisti coinvolti nelle registrazioni è stellare: Cedric Bixler-Zavala non è più la tigre di una volta (anzi, c’è un abuso del falsetto da parte sua), la chitarra di Omar Rodrà­guez-López raramente riesce a strapparsi un ruolo da protagonista, ma il groove assicurato da una sezione ritmica impeccabile qual è quella composta da Eva Gardner (basso), Willy Rodriguez Quià±ones (batteria) e Daniel Diaz Rivera (percussioni) è così incisivo da riuscire a mantenere a galla il tutto.

Peccato non sia sufficiente a far spiccare il volo a un album di molta forma e poca sostanza; estremamente gradevole in alcuni passaggi (“Shore Story”, “Vigil” e “No Case Gain” non sono affatto male) ma incapace di lasciare segni profondi. Un disco di una superficialità  disarmante i cui brani, nella maggior parte dei casi, potrebbero benissimo funzionare come sottofondo in un locale chic e minimalista, di quelli dove ricchi uomini eleganti e lampadati vanno a fare l’aperitivo vegano, discutendo magari di sostenibilità  ambientale e transizione digitale.

Non preoccupatevi: non siamo al cospetto dell'”Invisible Touch” del nuovo millennio. Però sarebbe bello capire perchè – nonostante gli anni che passano e gli stili che evolvono – tutte le band progressive rock, a un certo punto della loro carriera, si lasciano incantare dalle sirene del pop. Qui almeno si tratta di pop di alto livello e lontano mille miglia dal mainstream, quindi non lamentiamoci troppo e accontentiamoci di quel che passa il convento.