Doja Cat è una mina vagante della scena hip-hop a stelle e strisce ed il suo nuovo album, “Scarlet”, sta lì a dimostrare quanto la definizione di “genio e sregolatezza”, spesso, non sia solo un banale clichè. La nuova fatica della rapper losangelina, infatti, rispecchia fedelmente tutto l’immaginario controverso che ha accompagnato l’artista americana nel corso degli ultimi mesi e, soprattutto, durante la lavorazione del disco in questione. “Scarlet” è un album pieno di sfumature, di beat sincopati ed alternative, di rime schiette e taglienti, di sonorità non così facili ed immediate come si potrebbe ipotizzare in un primo momento, adagiandosi sul piedistallo di un mero pregiudizio. “Attention”, per esempio, oltre ad essere stato il primissimo assaggio del disco, rappresenta alla perfezione quello che vuole essere il nuovo corso della cantante: non più musica (solo) per le masse, ma un prodotto cucito su misura per quelle che sono le nuove aspirazioni della cantante.

Credit: Jacob Webster

Tradotto in soldoni, “Attention” è un brano simil trip-hop che si bagna nei mari dell’R&B vecchia scuola. Andando oltre, con “Paint The Town Red”, Doja si toglie persino lo sfizio di campionare “Walk On Boy” di Dionne Warwick. Inutile sottolineare come il suddetto brano abbia già raccolto consensi in giro, sia per ciò che concerne le charts, che per quanto riguarda i (numerosi) fan della rapper. Gli stessi con cui, mesi or sono, l’artista statunitense aveva battibeccato ferocemente tramite i Social, invitandoli a non ascoltare più la sua musica. (genio e sregolatezza, genio e sregolatezza).

“Scarlet” è un lavoro che si apprezza pienamente solo se si riescono a valicare i confini dell’ascolto fine a sé stesso. Già, perché sono tanti i dettagli piazzati tra una canzone e l’altra. Come quelli presenti nel (vero) highlight del disco, “Agora Hills”, che nei suoi quattro minuti e venticinque secondi di durata, dimostra come si possa realizzare un buon pezzo hip-hop/R&B senza risultare monotoni o monocordi. Mentre nella delicatezza eterea di “Often”, vi è un po’ della Beyoncè di “I’am… Sasha Fierce”. È questa, del resto, una delle peculiarità principali della musica di Doja Cat, quella di riuscire a zigzagare fra presente e passato, evitando di farsi impelagare sia dall’uno che dall’altro.

“Scarlet”, in definitiva, è il ritorno di un artista che, forse, non ha ancora trovato un’identità ben precisa, ma che continua ad andare avanti per la sua strada, fregandosene di quelle che sarebbero le regole basiche del mainstream musicale. Al netto di un caratterino non proprio elastico e di scelte che, talvolta, possono risultare alquanto incomprensibili ed impopolari. Non solo. “Scarlet” rappresenta pure il lavoro più sincero di Doja Cat, quello dove genio e sregolatezza (sì, sempre loro) hanno trovato il giusto compromesso. E quando ne esce fuori un disco del genere, c’è solo da restarne sinceramente (e sorprendentemente) ammirati.