Eccoci arrivati al quinto capitolo full-length della carriera degli Idles, che giunge dopo poco più di un paio d’anni dall’uscita del sempre ottimo “Crawler“: il disco è stato prodotto dal noto Nigel Godrich (Radiohead, The Smile, Beck), dal chitarrista della band Mark Bowen e da Kenny Beats (Denzel Curry, Vince Staples, Benee).

Credit: Daniel Topete

Il carismatico frontman Joe Talbot spiega:

Avevo bisogno di amore e così l’ho creato. Ho dato amore al mondo e sembra una magia. Questo è il nostro album di gratitudine e potere. Sono tutte canzoni d’amore. Tutto è amore.

Come avevamo già notato con il suo predecessore, gli Idles avevano iniziato un processo di cambiamenti, non limitandosi solamente al punk più duro, energico e aggressivo che li ha inizialmente resi famosi: il percorso prosegue in questo nuovo lavoro con ulteriori importanti aggiunte nel loro sound.

Non deve sembrare strano quindi che “IDEA 01″ si apra con una batteria dura, elementi elettronici e il suono quasi ipnotizzante del piano, mentre il tono della voce di Joe Talbot rimane decisamente riflessivo senza per forza voler arrivare a una forte esplosione come accadeva anche nel recente passato.

Forse non era logico aspettarsi nemmeno una canzone intitolata “POP POP POP”, ricca di sonorità elettroniche e di beat, di martellanti percussioni e dall’atmosfera malinconica, ma nulla sembra essere fuori posto, anzi l’eccitazione sale a ogni ascolto, anche se, come dicevamo, l’approccio alla musica è diverso rispetto a prima.

Chitarre e basso sono invece ben presenti in “Gratitude”, un attacco decisamente pesante (anche grazie al suo trascinante coro), in cui comunque anche l’elettronica continua a recitare una parte importante e crediamo che sarà davvero entusiasmante ascoltarlo live in uno dei loro prossimi concerti perché il suo livello di esplosività è davvero alto.

Tra le tracce più interessanti e in un certo senso inaspettate di “Tangk” troviamo senza dubbio “A Gospel”, in cui i vocals di Joe assumono una delicatezza sorprendente, che sembra voler emettere una certa malinconia: il piano la accompagna con altrettanta gentilezza e, in qualche frangente, si aggiungono anche gli archi. Una sorpresa? Forse sì, ma graditissima.

In “Grace” Talbot canta “No god / No king / I said love is the thing” con toni così morbidi da rasentare il pop e, oltre al divertente video preso da “Yellow” dei Coldplay in cui Chris Martin sembra cantare il testo della canzone degli Idles grazie all’aiuto dell’intelligenza artificiale, è caratterizzata ancora una volta da elementi elettronici e da beat inarrestabili.

La successiva “Hall & Oates”, invece, ci fa ritornare su territori punk più familiari con un ritornello melodico e catchy e vocals aggressivi come i devastanti riff del basso di Adam Devonshire, che in questo frangente ci sembra davvero incontenibile.

La chiusura con “Monolith” è minimalista e, ancora una volta le tinte sono piuttosto cupe e molto riflessive, quasi cinematografiche e, dopo che Joe finisce di cantare, ecco apparire anche il sax, seppur per pochi secondi.

L’unione tra il talento infinito di Godrich, l’energia di Kenny Beats e ovviamente la classe e la qualità degli Idles messi insieme in una stanza ha portato un disco estremamente interessante in cui la band di Bristol dimostra di essere capace di prendere rischi importanti, ma che la portano a progredire in maniera decisa: magari non tutti i vecchi fan potranno amare questo lavoro e, senza dubbio, ci vogliono alcuni ascolti prima di poterlo digerire e comprendere, ma a nostro personalissimo avviso ognuno di questi quaranta minuti vale la pena di essere ascoltato.