Lo confesso: nel 2005 “a Fever You Can’t Sweat Out” mi aveva preso. Certo, non saranno stati i  novelli Queen come qualcuno li voleva etichettare, tantomeno i nuovi Radiohead come gli stessi Panic! At The Disco dicevano di voler diventare, ma la proposta era comunque intrigante, variegata, un guitar pop rock barocco e burlesque, teatrale, malizioso.

Gli album seguenti invece avevano  segnato una virata pop che ha visto la componente rock appiattirsi fino tendenzialmente a scomparire, deludendo parecchie attese ed aspettative, laddove il fenomeno era forse stato semplicemente male interpretato dall’inizio: non si è mai trattato di un gruppo rock con sfaccettature pop, ma un gruppo pop tout court.

Col tempo, è difficile anche parlare di gruppo: i Panic! At The Disco sono fondamentalmente una one man band, laddove Brandon Urie scrive, canta e arrangia la musica (diamogliene atto, chitarra, basso e batteria in studio è tutta roba sua, ed anche nei live dimostra di non essere l’ultimo arrivato), catalizza tutta l’attenzione ed è pure un buon animale da palco. Pop, però.

Questo “Pray For The Wicked”, prodotto ancora una volta da Jake Sinclair, certifica, qualora ce ne fosse stato bisogno, la definitiva uscita del nome Panic! At The Disco dal manifesto rock, e il suo irrevocabile incasellamento nella categoria del pop più mainstream: l’album potrà  quindi piacere [pezzi freschi ed orecchiabili non mancano, come “Say Amen (Saturday Night)”, “High Hopes” o “King of The Clouds”], Urie si sa muovere, la sua voce resta vibrante e caratteristica, l’album tutto è furbescamente strutturato; di converso, si ribadisce, se vi si ricercasse qualcosa di vicino alle frequenze con le quali li avevamo inizialmente conosciuti, resteremmo con il classico pugno di mosche.