Che il revival twee/surf-pop vada alla grande è cosa nota. Caterve di band, non esclusivamente indipendenti, complice una totale ripresa dell’estetica 60s registrata in questi ultimi anni hanno deciso di cavalcare quest’onda, nella maggior parte dei casi a loro favore. è quindi comprensibile che a inizio 2011 ci sia ancora chi tenti di battere il ferro ancora caldo, specialmente considerato il buon ritorno mediatico su siti e blog vari.
Eccoci così di fronte ai Tennis, ovvero Patrick Riley e Alaina Moore, coniugi di Denver i quali, stando a credere alla loro idilliaca autobiografia, avrebbero ideato e scritto il disco in questione durante un viaggio in barca a vela lungo otto mesi. Una storia di quelle che non si sentono più.
Non stupisce quindi che in un album del genere siano tangibilmente presenti gli echi di rosei tempi andati, dal lento del ballo di fine anno scolastico di “Bimini Bay” alle gare di rock’n’roll acrobatico di “Baltimore”; le sonorità della west coast, pregiate da una voce limpida e squillante, abbastanza lontana dalle roche tonalità delle varie Bethany Cosentino e Dee Dee Penny, rivivono nella mezz’ora scarsa d’ascolto, tra un surf-pop d’occasione (“Marathon”, “Seafarer”) e progressismi 50s (“Take Me Somewhere”, “Cape Dory”), e se in “Pigeon” sembra di scorgere, in lontananza, il tema di “Scandalo Al Sole”, il garage-pop di “Long Boat Pass” ammicca alle derive più aggraziate dei Kinks (roba che l’ultimo Casablancas si sta a mangià le mani).
Non che si possa garantire sulla durabilità di “Cape Dory”, ma in questi primi pomeriggi primaverili ci sta dannatamente bene.