Sam Mendes è noto al grande pubblico come il regista che ha finalmente dato un degno posto nella cinematografia a James Bond (“Skyfall” e “Spectre”), ai film di guerra (“1917” tutto in piano sequenza) o al cinema fine anni ’90 con “American Beauty” con Kevin Spacey. Da un regista del genere non ci si può aspettare quindi che capolavori, lungometraggi però di grande eco che attraggono persone che vogliono vedere un bel film, ma che non sopporterebbero solo dialoghi ed inquadrature. Insomma, un pubblico d’azione. Vi farà  piacere sapere che proprio questo regista, nel 2023, ci ha dato uno dei film dell’anno: “Empire Of Light”.

Questo capolavoro cinematografico è un grande omaggio al cinema in generale, alle macchine da presa a pellicola, alle sale, alle persone che lavorano all’interno, alla luce, al buio, all’amicizia e alla caducità  della vita quando le cose sembrano diventare solo complicate.

La storia racconta la vita di una responsabile di una sala cinematografica in un paesino marittimo inglese, interpretata dalla superba Olivia Colman, e di tutto il team che lavora all’interno tra cui il proprietario Colin Firth, il macchinista addetto alle proiezioni Toby Jones e il nuovo assunto Michael Ward. Le premesse possono sembrare noiose, il film dopotutto non è movimentato se non in alcune scene particolari d’alta tensione emotiva, eppure con queste premesse Sam Mendes riesce a districare vari livelli narrativi partendo proprio dall’Empire, il cinema un po’ decadente di città .

Proprio per questo incontreremo nel percorso le proteste neo-naziste e di matrice bianca verso la sempre più forte immigrazione di persone di colore, tematiche quali la salute mentale e il bipolarismo o, in maniera generale a cornice del tutto, il cinema nelle sue più sottili e delicate accezioni. Sembra un grande melting pot di tematiche che poco riescono a cozzare tra di loro, quando in verità  riescono a legarsi perfettamente l’una alle altre. La bravura proprio del regista sta nel riuscire ad incastrare tutti questi tempi per creare alla fine un prodotto che ben ti racconta tante cose senza sembrare divisivo e banale.

Hilary, la protagonista, vive una vita triste e monotona a causa di una severa situazione mentale che la costringe ad una terapia di litio che bene non le fa; Stephen, il nuovo arrivato, deve fare i conti con un paese che non lo accetta solo per il colore della pelle e che vede in Hilary una motivazione per andare avanti; Mr. Ellis, il direttore del cinema, sfrutta sessualmente Hilary poichè il suo matrimonio è in rovina o semplicemente per noia; il macchinista Norman, invece, è colui che rappresenta l’istituzione cinematografica e l’amore per i film attraverso le macchine, le pellicole, il fascio di luce che si crea quando inizia un film.

A rendere questo film un capolavoro di proporzioni cosmiche non è solo il grande omaggio che si vuole fare al mondo cinematografico, racchiuso in molte scene toccanti e di alto livello, ma anche l’amicizia che scaturisce da una relazione impossibile, e che ti riesce comunque a salvare e ad andare avanti nel tuo percorso di vita, o l’affermarsi di un singolo individuo in un mondo che non è ancora pronto ad accettarlo. Il tutto impacchettato e decorato con le bellissime musiche di Reznor e Ross.

Sam Mendes riesce a fare tutto questo (e anche di più) regalando un grande lungometraggio al suo pubblico, ai suoi colleghi, a chi ha fatto grande il cinema: insomma a tutti. E ci riesce raccontando le cose semplici che ci emozionano, che ci spaventano, che ci fanno incazzare o che semplicemente ci fanno stare male fisicamente e psicologicamente.

Non ho mai pianto per così tanta bellezza al cinema (e purtroppo anche dopo essere uscito dalla sala) e spero vivamente che possiate anche voi, lettori, partecipare a questa esperienza catartica che non solo vi farà  amare ancora di più il cinema, ma vi aprirà  e migliorerà  ancora di più come esseri umani.