Avevamo già approfondito la conoscenza con la De Dominicis, ai tempi dell’enigmatico e suadente “Anti- Gone”, uscito nel 2009, lavoro al crocevia tra elegante elettronica, pseudo-trip-hop e notturno folk stralunato, un’opera che sicuramente non ha ottenuto a suo tempo la giusta esposizione mediatica.

Qui l’artista si presenta in maniera ancora più autarchica e sfidante, rifuggendo ulteriormente da definizioni e generi, approfondendo una ricerca meta-musicale trasfigurante, attraverso la quale la sperimentazione diviene scopo e mezzo per indagare sentimenti di alienazione e appartenenza, smarrimento e catarsi, svuotamento e raccoglimento, nascita e morte, carnalità e rinuncia. Le “mappe del corpo” seguono i sentieri della bocca (“Mouth”), delle ossa e delle giunture (“Bones”), di un ventre materno, generatore di vita aliena e sensazioni terrene (“Womb”), e poi giù nei ventricoli di un cuore (“Heart Unbeaten”) che batte di un battito che sembra perdersi nel tempo, con le sue pulsazioni che si nutrono di sensualità e presagi ansiogeni, con qualche sprazzo melodico che si fa strada in una scenografia musicale a tinte teatralmente fosche, prima di precipitare nella scia di una caduta orizzontale, immaginando mani che si sfiorano sull’orlo di un arido precipizio (“Hands”). Found sounds, scheletriche
trame strumentali e un approccio vocale sempre imprevedibile (tra l’isteria e il sussurro) rivestono di spettrale fascino queste cinque composizioni, cinque tentativi di assediare e sedurre le zone meno battute della mente apparentemente cosciente, giù nell’insondabile ignoto del sé, solleticando e urticando, urtando e accarezzando.

In questa geografia del corpo – e quindi dell’anima – il viandante/ascoltatore percorre scorciatoie tortuose e valichi scoscesi, date le poche concessioni a forme riconoscibili di melodismo. Sembra proprio che l’opera in questione richiami alla mente con insistenza una dimensione live che possa svelare sino in fondo tutti gli angoli angusti e le introverse pieghe, nei quali la De Dominicis nasconde l’ardito, ardente (ma gelido in superficie) segreto della sua creatura musicale.

Partecipano a questo processo di psicanalisi della carne altri musicisti e sperimentatori come Erica Scherl,
Marco Messina, Elio Martusciello, Teho Teardo, Marco Bonini, Massimiliano Scacchi.