Qualche anno fa abbiamo ripercorso la parabola di una delle band storiche della new-wave britannica, gli scozzesi Simple Minds. Partendo dal suono freddo e robotico delle origini post-punk e tangendo lo zenith di una fama ricercata spasmodicamente fino al crudele contrappasso d’una fulminea scesa nell’oblio, ci siamo chiesti quale fosse la corretta esegesi da compiere su una band considerata più una meteora che un caposaldo del rock, ponendoci fatalmente il manzioniano dubbio: fu vera gloria? Cogliamo l’occasione dell’anniversario di quest’altro lavoro – il favorito dello scrivente – per aggiungere nuovo pepe alla riflessione.

Nello strenuo tentativo di comporre l’inno più epico e grandioso mai registrato, “Sparkle in the Rain” fu l’album con cui i Simple Minds passarono dall’essere rivali di Human League e Duran Duran a competere direttamente con gli U2 negli stadi di mezzo mondo. Ingaggiato per l’occasione proprio il produttore degli irlandesi, Steve Lillywhite, questo fu anche l’ultimo lavoro con lo storico bassista Derek Forbes, qui però lasciato costantemente sullo sfondo, ed è anche l’unico realizzato col quintetto “storico”.

Acciuffata al sesto tentativo la top ten con “New Gold Dream“, che regalò anche un considerevole plauso di critica, le grandi ambizioni di Jim Kerr e Charlie Burchill impressero un’accelerazione ad un sound che fino a quel momento era rimasto levigato e barocco, trasferendolo di peso nella dimensione dell’arena rock. A posteriori si userà il termine “Big Music” per raccogliere in un’unica casella tutte quelle band che, pur provenendo dal post-punk, si diressero verso un pop-rock maestoso e magniloquente, perfetto da suonarsi in spazi sterminati. Fenomeno racchiuso idealmente nel quadriennio 1983-1987, dall’esordio degli Waterboys fino a “The Joshua Tree” degli U2, “Sparkle in the Rain” ne è uno dei documenti più aderenti, forse il più monumentale.

Bastano dieci secondi per intuire la direzione che i Simple Minds vogliono dare alla propria musica. La tempesta inizia con “Up on the Catwalk” e la sua pioggia di simbolismi e citazioni, avviluppandosi nell’umido tornado delle percussioni. Ancora più grandiosa è “Waterfront”, singolo di lancio e quintessenza di tutta una carriera. Introdotta e sostenuta dall’inizio alla fine da un incessante, ipnotico pulsare di basso, deformata da un mastodontico martellare di cassa e rullante, industriale e robotico, questo è forse il culmine di una musica che comunica esclusivamente per ceffoni ben assestati, senza il minimo sforzo d’apparire ricercata. Nonostante (o forse grazie a) ciò, “Waterfront” resta ancora oggi uno dei loro brani più amati.

Più complessa e derivativa delle strutture del progressive rock è l’altra hit di successo, “Speed Your Love to Me”, uno dei punti di contatto fra le machiavelliche composizioni di “New Gold Dream” e il titanismo romantico che qui aleggia in lungo e in largo. Come più volte ribadito nelle precedenti retrospettive, la carta vincente dei Minds è il sublime contrappunto melodico che si innesca fra la chitarra di Burchill e le grandinate pianistiche di Michael MacNeil, che andrebbe considerato uno dei tastieristi più iconici del decennio (i suoi merletti barocchi “profumano” letteralmente di anni ’80).

Il nuovo batterista Mel Gaynor, che proviene dal rock duro, è in assetto da guerra e picchia sui tamburi con violenza inverosimile; la meditata alchimia dei timbri di Lillywhite, colma di echi e riverberi, allarga all’infinito gli spazi sonori. Il crescendo di “East at Easter”, pezzo minore diventato cavallo di battaglia dal vivo, si inalbera con tenerezza in un’alta declamazione impregnata di pathos. La labile membrana che separa l’epico dal patetico regge il carico forse per l’ultima volta, cristallizzando tutta un’epoca votata allo scimmiottamento di pose eroiche. Più sorniona, “Book of Brilliant Things” è quasi funk-rock e anticipa l’ulteriore mutazione avvenuta in “Once Upon a Time”.

Se il lato A è mozzafiato dall’inizio alla fine (sì, al tempo bisognava alzarsi e girare il disco, e gli album tendevano a rispettare la scansione temporale delle emozioni che intendevano comunicare), purtroppo il retro non mantiene gli stessi standard e si limita per buona parte a riciclare le precedenti intuizioni. Una sciapa cover di Lou Reed (“Street Hassle”) e la cagnara garage-rock di “The Kick Inside of Me”, sbraitata a squarciagola, mostrano quanto il perimetro in cui i Minds si sono recintati rischi di diventare una tomba artistica.

Un pizzico meglio la più umile “‘C’ Moon Cry Like a Baby” e soprattutto la chiusa strumentale di “Shake Off the Ghosts”, che riscatta in calcio d’angolo le premesse e salva ampiamente tutta l’operazione, consegnando gli scozzesi alle folle acclamanti dello stardom. L’album fu un successo, nonché il primo di quattro consecutivi a troneggiare sulla classifica britannica nel giro di appena cinque anni. Quel lustro coincise con una popolarità clamorosa, specie in Italia, seconda solo a quella ottenuta in patria. Non a caso Kerr vive stabilmente a Taormina da molti anni.

Il seguito è storia: “Don’t You (Forget About Me)”, uscita l’anno successivo, conquistò anche il pubblico americano, storicamente ostico alla penetrazione dei Nostri, sigillando un effimero patto col diavolo. Chiuso il decennio, disintegrata pezzo per pezzo la formazione classica, ripiegato su un pop maturo e soporifero, i Simple Minds sparirono come una cometa lasciando ben poche tracce sulla musica che seguì. Ed è questa persistenza pressoché nulla nella memoria contemporanea ad averli imprigionati in una capsula del tempo. Al contempo, riascoltare i loro dischi, equivale a teletrasportarsi in un dipinto iperrealista di quarant’anni fa, e solo per questo ce li facciamo bastare.

Data di pubblicazione: 6 febbraio 1984
Registrato: Monnow Valley (Galles), The Townhouse (Londra)
Tracce: 10
Lunghezza: 44:41
Etichetta: Virgin
Produttore: Steve Lillywhite

Tracklist
1. Up on the Catwalk
2. Book of Brilliant Things
3. Speed Your Love to Me
4. Waterfront
5. East at Easter
6. Street Hassle
7. White Hot Day
8. ‘C’ Moon Cry Like a Baby
9. The Kick Inside of Me
10. Shake Off the Ghosts