Posizioni: I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2015 [ #26 / #1 ]

#50) WILCO
Star Wars
[dBpm/Anti]

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I Wilco sono una band incredibile. Jeff Tweedy è un autore pazzesco, appena l’anno scorso con il suo solista ci aveva deliziati e poi quel 17 luglio di quest’anno dove con una giocata incredibile all’improvviso ti ritrovi a scaricare un disco della band. Penso che nessuno durante la fase di download ha realizzato quel che poi sarebbe stato. “Star Wars” è un disco dei Wilco a tutti gli effetti. Ed è anche un bel disco. Altro che giochino.
GoBleWil
(Angelo “The Waiter” Soria)

#49) COURTNEY BARNETT
Sometimes I Sit and Think, and Sometimes I Just Sit
[Mom + Pop/Marathon Artists/Milk!]

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A volte mi siedo e penso ed a volte mi siedo e basta, cioè un invito a non prendersi troppo sul serio. Ogni parola ed ogni accordo di Courtney Barnett è un mattoncino che lastrica il cammino luminoso che ci allontana dalla retorica.

Quando l’ho recensita parlavo di pellicole indipendenti dal color pastello, oggi invece mi viene da pensare ad una spiaggia osservata dalla la fessura tra gli incisivi di Mac Demarco.
( Jacopo Patrignani )

#48) BJORK
Vulnicura

[One Little Indian]
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“Vulnicura” è dunque un disco di contrasti e conflitti, di dubbi e dolore, ma anche di grinta e speranza, con una Björk che indubbiamente ce la mette tutta per poter andare avanti. A mio avviso con quest’ultimo album la sua creatrice è riuscita realmente ad infondere il proprio spirito nella musica, scavando nella terra bruciata con le proprie unghie e nutrendo le radici incenerite con il proprio sangue e le proprie lacrime, ed infine trionfando, rinascendo un’altra volta.
Il risultato finale è uno dei traguardi più importanti e sinceri dell’intera carriera della musicista islandese.
( Filippo Mazzini )

#47) WAXAHATCHEE
Ivy Tripp

[Merge]

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Non sono stati due anni di riposo, per Katie Crutchfield in arte Waxahatchee. “Ivy Tripp” è la cronaca spietata di quella terra di mezzo che va dai venti ai quaranta.

Una microscopica, avventurosa bibbia per giovani adulti da tenere dentro un cassetto e da tirare fuori quando serve. Un Tripp che lascia storditi, uno stordimento contorto e piacevolissimo.
(Valentina Natale)

#46) BILL FAY
Who Is The Sender
[Dead Oceans]

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Dopo il bellissimo e struggente “Life is People”, torna uno dei migliori cantautori di tutti i tempi con un disco ancor più riflessivo. “Who is the sender?” Presenta magiche tender pray con arrangiamenti che mettono d’accordo ascoltatori di tutte le età . Un disco dove amore e fede si mettono in discussione.

Temi così forti e imponenti sono resi epici da un maestro dell’eleganza, dello stile e della poesia.
( Angelo “The Waiter” Soria )

#45) TALLEST MAN ON EARTH
Dark Bird is Home
[Dead Oceans]

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Torna l’uomo più alto del pianeta e lo fa con un disco più introspettivo e personale ma molto vivo, emozionale e decisamente suonato.

La Title-track che chiude il disco ti lascia senza respiro.
( Angelo “The Waiter” Soria )

#44) SUN KIL MOON
Universal Themes
[Caldo Verde]

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Dopo “Benji” Mark Kozelek decide di prenderci in giro intitolando “Temi Universali” un album in cui in estrema sintesi ci parla semplicemente dei cazzi suoi e di quello che gli è accaduto nell’ultimo anno, con quella voce eternamente nauseata dalla vita e quello scazzo misto a poesia che lo rendono il nostro slacker preferito e no, di sentirlo blaterare, insultare e lamentarsi io non mi stanco mai.
(Stefano D’Elia)

#43) MAX RICHTER
From Sleep
[Deutsche Grammophon]

La composizione e la melodia fuse in un unico splendido lavoro da Max Richter.

Mettete play e lasciatevi trasportare dai pezzi di questo album. Cibo per la mente e per il corpo, “from Sleep” è “il ridotto” di Sleep, disco di 8 ore pensato da Richter per accompagnare i nostri sogni. Sia che prendiate la dose intera o quella leggera, sul bugiardino di questo farmaco non sono indicati sovradosaggi.
(Triste Sunset)

#42) GLEN HANSARD
Didn’t He Ramble
[Anti]

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Prosegue la strada solista per Glen Hansard che sforna un’altra perla da tenere, in casa, in auto, nella propria collezione personale. Disco pregiato, riflessivo ma solare che esprime la gioia di provarci ogni giorno a essere migliore. Una pausa di riflessione che da vita ad una ripartenza vincente.

Alcune sonorità  del disco abbracciano l’Irlanda a testimonianza di un viaggio con ritorno o casa. Tanti temi in un disco che dopo tutto è semplice e sincero.
( Angelo “The Waiter” Soria )

#41) PORT-ROYAL
Where Are You Now

[N5MD]

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Cos’altro dire se non che questo disco è qualitativamente superiore a ogni altra uscita musicale elettronica italiana del 2015.

Potete anche sommare la qualità  di tutti gli altri lavori, non si superano i genovesi. Senza contare che “elettronica” è riduttivo per loro, epica ed utopia alla massima potenza.
(Alessandro Ferri)

#40) CHVRCHES
Every Open Eye
[Glassnote]

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Passati in poco più di un anno dalle cantine di Glasgow ai più importanti palchi del mondo, i CHVRCHES superano anche la difficilissima prova del secondo album scaricando tutta la tensione in una sola direzione: l’incredibile sicurezza che mostrano in questi nuovi 11 pezzi, rinunciando a produttori e studi di registrazione e rintanandosi nel loro seminterrato di Glasgow. Nessuno scrive synthpop meglio di loro, e loro lo sanno.
(Francesco “dhinus” Negri)

#39) BODUF SONGS
Strench of Exist
[The Flenser]

You will lose the one you love.

They will all go. But even the earth will go, someday..
(Sara Marzullo)


#38) THE MACCABEES
Marks To Prove It

[Fiction]

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Elefanti e castelli

Poteva mancare il geniale quintetto londinese nella classifica annuale? Non conosce ostacoli l’ascesa dei Maccabees, band capace di frullare ogni sorta di sottogenere del rock alternativo, in una miscela davvero unica e inimitabile. Nell’era dei Kanye West, delle Grimes e dei Kendrick Lamar, act del genere andrebbero preservati e spinti in ogni palinsesto che si rispetti.
(Luca “Dustman” Morello)

#37) SISKIYOU
Nervous

[Constellation]

Sorpresa dell’anno insieme ai Viet Cong, i canadesi Siskiyou pubblicano il loro terzo album e sembra di ascoltare una versione oscura e notturna degli Arcade Fire, “Nervous” è un disco folk rock vagamente gotico con forti richiami a Shins, Pixies e Modest Mouse, un gruppo da seguire aspettando che esploda definitivamente.
(Stefano D’Elia)

#36) SARA FORSLUND
Water Become Wild

[Time Sensitive Materials]

La voce di Sara Forslund si era fatta apprezzare nel duo Birch And Meadow con David Wenngren (Library Tapes). Nel suo debutto solista sulla lunga distanza, con l’aiuto della chitarra acustica, la svedese condensa linguaggio cantautorale e un intimismo risonante che non necessita di dispositivi elettronici nè interventi di produzione per tratteggiare bozzetti di sognante introspezione. Non per questo “Water Became Wild” è un album di cantautorato classico, grazie alla ricerca di minimali soluzioni d’arrangiamento funzionali ad esaltare attraverso sfumature molteplici la disarmante profondità  di canzoni di fragile forza espressiva.

“Water Became Wild” è uno spazio di rigenerante penombra, un luogo dell’anima da scoprire e conservare con cura.
(L’Attimo Fuggente)

#35) KAMASI WASHINGTON
The Epic

[Brainfeeder]

E la luce fu, dal grigiore colossale, dal pantano mesozoico scaturito dal confronto che ogni musicista jazz deve sostenere negli anni ’10 del ventunesimo secolo, millennio secondo, nel produrre ancora pagine che abbiano un qualche peso nella storia del jazz.

Classe 1981, sassofonista californiano, Kamasi Washington travasa nel triplo “The Epic” un secolo di spiritual jazz, forte di un enciclopedismo mai saturo e lo proietta in futuro in cui il jazz ha ancora un’anima purissima e stupendamente elegante. Un lavoro da annali del genere.
(Giampalo D’Errico)

#34) DRAKE
If You’re Reading This It’s Too Late

[Cash Money]

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Un mixtape in classifica, riesce nell’impresa di farmi digerire un formato del genere. Egocentrismo, beat infuocati, ritmi serrati e disconnessioni.

Riscrivere le regole è sempre possibile? Sinceramente non sarebbe bello ritrovarsi gomito a gomito all’Air Canade Centre per tifare i nostri cari Toronto Raptors.
(Alessandro Ferri)

#33) SOAK
Before We Forgot How to Dream

[Rough Trade]

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In questa fine d’anno in cui l’evento discografico più discusso è il ritorno di Adele, preferisco ricordare il disco di debutto di questa ragazza nordirlandese neanche ventenne. Ruvido, triste, profondo, intimo, bruciante, infinito. Una voce e una chitarra (più delicati inserti di percussioni e suoni atmosferici) che bastano a trasportarci altrove, a quando avevamo diciotto anni e non volevamo smettere di sognare.
(Francesco “dhinus” Negri)

#32) GIRLS NAMES
Arms Around A Vision

[Tough Love]

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Oscillazioni del desiderio

Li avevamo già  notati qualche anno fa, quando li inserimmo in classifica ai tempi dell’album “The New Life”. Quest’anno i Girls Names hanno sfornato quello che è probabilmente il loro capolavoro e si sono spinti ancora più avanti nell’affinamento della propria ricetta post-punk.
(Luca “Dustman” Morello)

#31) MATTHEW E. WHITE
Fresh Blood

[Domino]

Sembra il figlio illegittimo di Dr. John il buon Matthew E. White, che torna di prepotenza con la sua miscela di R&B, gospel, pop orchestrale di quello buono.

Dolce, divertente, commovente in “Fresh Blood” è ancora più sicuro di sè e dei suoi mezzi. Un album che scivola via tranquillo senza nemmeno un difettuccio. Una conferma per una delle voci più interessanti di questi ultimi anni.
(Valentina Natale)

#30) KRISTIN MCCLEMENT
The Wild Grips

[WIllkommen]

Per riuscire ad assaporare e comprendere a fondo i nove brani che compongono l’esordio di Kristin McClement, cantautrice sudafricana, da tempo trapiantata a Brighton occorre, come per un buon vino, il tempo necessario perchè possa respiri e decantare. La voce calda e suadente, ma al contempo solenne e austera, gli arrangiamenti ricchi di strumentazione classica e venati di discreta elettronica, i testi poetici ed evocativi rendono “The Wild Grips” un lavoro rigoroso e esigente che, dimentico di mode e movimenti, è un esempio eclatante di folk concepito ed eseguito con sentimento, talento e passione.
(L’Attimo Fuggente)

#29) PRURIENT
Frozen Niagara Falls

[Profound Lore]

At the end of the day all we really want is another person. It’s very truly rare that people ever really want to be alone.

The danger of nostalgia is that you forget everything that was bad about the reality of a place

Questo disco dovrebbe riguardare New York, la città  non mi è mai sembrata così bella come mentre ascolto Frozen Niagara Falls. Facciamoci un giro a Greenpoint e ascoltiamo nelle cuffie Prurient, amore.
(Alessandro Ferri)

#28) VERDENA
Endkadenz Vol. 1 / Vol. 2

[Universal]

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“Endkadenz” è un groviglio. I Verdena all’apice della loro arroganza e della loro bulimia musicale se ne vengono fuori con un doppio che è ancora più complicato di “Wow”. Endkadenz potrebbe essere la sintesi dell’ambizione pop di “Wow” e della cupezza di “Requiem”: una reazione chimica perfetta e abbagliante e travolgente come un’esplosione nucleare.
(Sebastiano Iannizzotto)


#27) COLIN STETSON & SARAH NEUFELD
Never The Way She Was
[Constellation]

La nostra vita, un lungo paesaggio che rimane dopo di noi. I viali, alle cinque di mattina, gli uomini con le borse di plastica, la pioggia che non finiva. Ti dicevo: sarà  un giorno bellissimo. Non parlavi, qualche metro più avanti, e io guardavo dove i passi erano i tuoi.

Ti giravi, gli occhi come una cosa vera del mondo, di tutto il mondo.
(Sara Marzullo)

#26) LARRY GUS
I Need My Eyes
[DFA]

“I Need New Eyes” è un viaggio stupendo di contaminazione, uno stravolgimento continuo, un castello di carte imponente che viene soffiato via ogni volta e viene sempre ricostruito diverso, Panda Bear che mangia una pita su un traghetto, James Murphy che fa la spesa e decide di esagerare con il cardamomo.
(Jacopo Patrignani)

Posizioni: I MIGLIORI 50 DISCHI DEL 2015 [ #26 / #1 ]