Alynda Segarra, ormai da anni forza trainante degli Hurray For The Riff Raff, sa come si raccontano storie di donne che lottano. Quelle poco famose, che sui giornali non ci finiscono quasi mai e quando succede spesso è per motivi sbagliati. Piccole storie che popolavano già  “Hurray For The Riff Raff” qualche tempo fa e che sono tornate protagoniste in “Look Out Mama” e soprattutto in “Small Town Heroes” del 2014, album capace di portare il folk blues latino degli Hurray For The Riff Raff a un altro livello di qualità  e successo. Tre anni dopo molto è cambiato per Segarra e la sua band: finito il sodalizio artistico con Yosi Perlstein, Alynda Segarra si è circondata di nuovi collaboratori (tra cui spiccano il chitarrista Jordan Hyde, il batterista Greg Rogove, un nutrito gruppo di percussionisti) e alla soglia dei trent’anni ha deciso di guardarsi alle spalle. Di recuperare l’eredità  portoricana, che da teenager aveva voluto dimenticare.

Il Portorico di Alynda Segarra è quello assaporato crescendo nel South Bronx, conosciuto attraverso i racconti della zia e dei parenti prima di scappare a diciassette anni e viaggiare on the road per tutta l’America salendo di nascosto sui treni merci. Avventure che racconta in “The Navigator” nascondendosi dietro un alter ego queer (Navita Milagros Negron). Un concept album orgogliosamente militante, che sembra “Hamilton” o un film di Tarantino se Quentin si decidesse a fare un musical, tutto ritmo e grinta ma senza finti spargimenti di sangue. Che prende elementi del son cubano e della salsa portoricana e li contamina con folk e blues, rock e gospel. Che parte dalle strade di New York evocate in “Living In The City” e arriva sulle sponde di una immaginaria “Rican Beach” che di turistico o rassicurante ha ben poco. Un posto dove si innalzano muri, si rafforzano confini e i poeti muoiono in silenzio.

Non ero figlia di nessuno così il mio sangue ha cominciato a scorrere veloce” canta Alynda Segarra in “Hungry Ghost” prima di lanciarsi in uno sfrenato coast to coast con scrittori come Toni Morrison e Pedro Pietri che fanno capolino tra le righe in mezzo a giorni persi sul fondo di una bottiglia e mattine che si aprono come le pagine di una Bibbia. Le donne di Alynda Segarra sono donne che soffrono e resistono, che si chiedono se prima o poi lo troveranno un posto dove mettere radici. Donne che combattono, che cercano l’umanità  perduta e vanno avanti al ritmo del ritornello mantra di “Pa’lante” che di “The Navigator” è il brano più rappresentativo. Quest’album somiglia a come sarebbe la mia vita se fosse simile a “Il Mago Di Oz” ha detto scherzando Alynda Segarra. Ma non ci sono favole in queste dodici canzoni. Solo tanta sostanza e poca voglia di arrendersi.