Gruff Rhys ha una passione ormai più che decennale: leggere biografie di varia natura per superare il classico blocco dello scrittore. Fonte d’ispirazione inesauribile il curiosare nelle vite di personaggi più o meno noti, così sono nati brani e album dedicati a John DeLorean, Giangiacomo Feltrinelli o all’esploratore gallese John Evans che hanno contrassegnato la carriera del frontman dei Super Furry Animals.

“Seeking New Gods” racconta una storia diversa, legata a quella del sacro Monte Paektu al confine tra Corea Del Nord e Cina. Un settimo album solista registrato nel deserto del Mojave con il supporto di un produttore pieno d’inventiva come Mario Caldato (storico collaboratore dei Beastie Boys già  al timone di “Candylion” secondo lavoro di Rhys in solitaria) che segue un percorso più mentale che fisico tra luoghi, civiltà  ed emozioni, interrogandosi spesso sul senso del tempo e della memoria.

Galeotto è stato il brano d’apertura “Mausoleum of My Former Self”, in cui la montagna diventa pretesto e paradosso per affrontare il tema dell’invecchiamento dando tono e senso alle tracce seguenti. Un mix di fiati ammiccanti e sintetizzatori seguito dall’orecchiabilissima e smaccatamente pop “Can’t Carry On” con Lisa Jàªn e Mirain Haf Roberts dei 9Bach ai backing vocals e dalle tastiere giocose di “Loan Your Loneliness” che mettono al bando la malinconia del testo, sentimento che torna prepotente nella title track trascinato da un bel basso e da un acuto falsetto.

Netto cambio d’atmosfera nella ritmata, psichedelica “Hiking in Lightning” (alla batteria c’è Kliph Scurlock) e nella divertente “Holiest of The Holy Men” con una linea melodica semplice ma efficace e un ingegnoso assolo di chitarra, un vero peccato che non sia stata scelta come singolo. Chiudono i giochi “The Keep” tra Beatles e Beach Boys, “Everlasting Joy” in cui il clima torna ad essere riflessivo e “Distant Snowy Peaks” ballata di gran classe dove s’incontrano pianoforte ed elettronica con risultati affascinanti.

Il 2021 trova Gruff Rhys in grintosa forma, la collaborazione con Mario Caldato funziona mettendo spesso a nudo il lato più vulnerabile del gallese, una parte rimasta in ombra fino ad oggi. Ci sono artisti che non escono mai dalla propria comfort zone, a Rhys invece non è mai piaciuta la comodità  e lo dimostra ancora una volta con un disco meno gioioso e più maturo, che guarda a quegli anni settanta di cui il musicista è anagraficamente figlio.

Credit Foto: Mark James