Credit: Fabio Campetti

Ci sono le artiste brave e quelle bravissime, e Natalie Laura Mering in arte Weyes Blood fa parte, assolutamente, di queste ultime, poco altro da aggiungere, se non che la somgwriter classe ’88 si è ritagliata un posto nell’élite di genere.

Assurda fuoriclasse della canzone nuova, a mio parere, la migliore in circolazione, capace di rivitalizzare anni di cantautorato, rendendolo classico e moderno allo stesso tempo.

Un mash up di caratteristiche, dalla scrittura, alla voce, aulica e impostata, dettagli che uniti insieme creano un sound unico.

Per la prima volta in assoluto a Milano da headliner (aprì il concerto di Father John Misty nel 2017) e lo fa presentando il suo ultimo disco “And In The Darkness, Hearts Aglow“, il quinto in carriera, uscito lo scorso anno, disco per altro clamoroso di per sé, con canzoni già capisaldi di repertorio.

La sua abilità, inconfutabile, di rendere queste melodie, antesignane, come se fossero futuristiche o futuribili.

Un disco sofferto e sentito e di qualità sopraffina.

È l’Alcatraz di via Valtellina ad ospitare la serata in simbiosi con Vagabon, incaricata ad aprire le danze, anche lei in rampa di lancio con il suo terzo disco “Sorry I Haven’t Called“, uscito un paio di mesi fa, il terzo per l’artista senegalese di stanza a New York.

Siamo sullo stage b, inizia proprio Vagabon, che per le 19,40 presenta, lei per la primissima volta a Milano e in Italia in generale, in solitaria, il suo repertorio a macchia di leopardo.

Set un po’ sacrificato da esigenze di collocazione, sostanzialmente basi, anche se parzialmente suonate, imbracciando anche una chitarra elettrica.

Nonostante tutto, concerto carino, apprezzato e applaudito dai circa, così ad occhio, 800 paganti di questa sera.

Come da copione, Weyes Blood sul palco per le 20,40, ed è subito magia, senza nulla togliere a nessuna delle sue colleghe, non credo, francamente, ci sia un’artista migliore in circolazione, semplicemente divina, si ha come l’impressione di assistere a qualcosa che vada oltre un concerto stesso, melodie miracolose, una band elegante ed affiatata per il set numero 100 insieme, più volte ricordato e festeggiato dalla stessa Natalie.

Impeccabile e molto simpatica, con chiacchiere e battute tra un pezzo l’altro, che rendono ancora più bello il tutto.

Poi le canzoni, che potrei citarle tutte, perchè non ce n’è una brutta, dalle iniziali “It’s not just me” e la clamorosa “Children of the empire”, passando per “Andromeda” con visual stellari al seguito, “Grapevine”, “Twin Flame”, fino al masterpiece “A Lot’s gonna change”, nel primo bis, per chiudere poi in solitaria con “in The beginning”,

Poco altro da aggiungere se non artista fuori categoria.