Dopo quattro anni dal loro ultimo, e pregevole, lavoro – “Hollow” – i canadesi Elephant Stone, per la gioia di tutti coloro che adorano venature di musica indiana nel pop-rock contemporaneo (categoria alla quale ci iscriviamo con una robusta dose di orgoglio), sono tornati, e sembrano in ottima forma.  “Back into the dream”, il sesto disco del gruppo capitanato da Rishi Dhir, è infatti uscito lo scorso 23 febbraio e suona maledettamente bene.

Credit: Bowen Stead

Doverosa annotazione rivolta ai fan della band: la loro ultima fatica consta di dieci canzoni di cui però appena tre sono inedite; da maggio 2023 sino allo scorso gennaio il quartetto di Montreal ha rilasciato due singoli (“Dawn, day, dusk” e “Lost in a dream”) e ben quattro ep (“The spark”, “History repeating”, “Another year gone” e “Pilgramage”) che anticipano sette pezzi dell’album, insomma: in “Back into the dream” di materiale nuovo di pacca pochino. Eppure il disco, ottimamente strutturato nei suoi momenti, non dà mai l’idea di essere una collezione sfilacciata di singoli.

L’onnipresente “Lost in a dream” (la canzone negli ultimi mesi è apparsa cinque volte nei singoli e negli ep dei canadesi), con un cantato trasognante, morbide sonorità sixties e cori harrisoniani che culminano in una vorticosa conclusione dove fa capolino una deliziosa ma decisa effettistica, apre le danze e detta la linea. Si prosegue con il pop psichedelico di “The spark” – traccia arricchita nel finale da una pregevole varietà di percussioni e reminiscenze indiane – e “History repeating”, pezzi inframezzati da “Going underground” (primo reale inedito del disco) che mostra il lato più rock della band canadese (così come “Pilgramage”, terzultima canzone del lotto, da spazio a quello più armonico e melodioso). La psichedeliccisma “BAE” anticipa la strumentale “Godstar”, mentre “The imajinary, nameless everybody in the world” con i suoi sette minuti sapientemente in bilico fra armonioso pop, rock deciso e psichedelia indiana è un autentico viaggio nell’universo musicale degli Elephant Stone. Chiudono l’ascolto le delicate perle pop “On your own” e “Another year gone”.

Ideale continuazione di “Hollow”, “Back into the dream” è un album capace di catturare l’essenza stilistica degli Elephant Stone, ma al contempo di mostrarne le capacità (e l’intelligenza) nel cercare nuove soluzioni e sperimentazioni, continuando così a non annoiare il suo pubblico.