ll pop di Charli XCX è un universo variegato in cui sperimentazione e melodie clubbing si intersecano quasi alla perfezione dando vita ad un prodotto dannatamente accattivante. “Brat”, questo il titolo della nuova (e celebratissima) fatica discografica dell’artista britannica, è un disco che fa della coerenza stilistica la propria stella cometa. Anche se al netto di alcune lungaggini di troppo che, di tanto in tanto, tendono ad esasperare un tantino l’ascolto di un’opera indubitabilmente buona.

Credit: Terrance O’Connor

È cresciuta la ragazza sfrontata di “Break The Rules”. Oggi è una delle carte vincenti del mainstream musicale, pur continuando ad approcciarsi allo stesso con un atteggiamento decisamente fuori dagli schemi. “Brat”, dicevamo. Il sesto album in studio della trentaduenne cantautrice di Cambridge è un lavoro che spazia su più fronti sonori e che è meno immediato di come potrebbe apparire fermandoci alla superficie. In parole povere, si tratta di uno dei dischi più interessanti dell’anno. Altroché.

Prendete un pezzo come “Talk Talk” (no, non è un omaggio al genio di Mark Hollis): musicalmente siamo dalle parti dell’edm dei primi anni Duemila con una spruzzatina Daftpunkiana mica male. Con “360″, invece, la Nostra si tuffa a capofitto nelle atmosfere dance Anni Novanta, ma lo fa con gusto e ostinata spregiudicatezza. Tra le pieghe glitterate di “Brat” si nasconde pure un pezzo totally anni Dieci. Già. Perché come potremmo descrivere “Von Dutch” se non come un (ottimo) omaggio allo scorso decennio? In pratica, a Charli XCX piace giocare con il passato, rimodellandolo a sua immagine e somiglianza.

Del resto, per larghi tratti del precedente, “Crash” – pubblicato due anni or sono – l’altra metà di George Daniel – batterista dei The 1975 e producer d’avanguardia – si era divertita nel mescolare gli Ottanta più patinati con la propria cifra musicale. “So I” ed “Apple”, infine, rappresentano gli altri brani degni di nota di un progetto maledettamente cool e ben poco incline alle regole basiche seguite alla lettera dalle altre competitor della scena internazionale.

Tradotto in soldoni, “Brat” è l’album – scanzonato ma di sostanza – che (probabilmente) si sarebbero aspettati i fan di Dua Lipa dopo quel piccolo gioiellino che risponde al nome di “Future Nostalgia”. Poco male. Oggi, chi si iscrive al campionato dei grandi nomi internazionali, dovrà fare i conti anche (o soprattutto?) con la cara vecchia Charli. Quando talento e libertà artistica s’incontrano sul viale delle sette note, quel che ne esce fuori è sempre un gran bel lavoro.

Come “Brat”, per l’appunto.