10. KING HANNAH
I’m Not Sorry, I Was Just Being Me
[City Slang]
La nostra recensione

L’esordio più convincente e allo stesso tempo forse l’album fra i più ispirati in circolazione, mischia in modo sorprendentemente vivo atmosfere intoccabili finora dei tardi Portishead con un blues caldo e lento, dove l’intrigante voce di Hannah Merrick, il ritmo lento e le languide code di queste canzoni concorrono a condurci dentro il miglior rock americano degli anni 90, intriso di cupezza e l’espiazione della ricerca del mistero.
(Gianni Merlin)

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9. SPOON
Lucifer On The Sofa
[Matador]
La nostra recensione

Con questa decima prova sulla lunga distanza, la compagine statunitense guidata da Britt Daniel fa centro ancora una volta. E diciamolo, non è una novità . Grande band gli Spoon e super questo record di dieci tracce che in apertura ci delizia con “Held”, una bellissima cover di Bill Callahan. Il resto dell’album prosegue con una serie di brani dal sapore di classico indie-rock senza sbavature.
(Alessandro Tartarino)

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8. PORCUPINE TREE
Closure/Continuation
[Sony]
La nostra recensione

Dieci brani, gli ultimi ottimi tre accreditati come bonus, tra i quali trovano spazio ““ oltre ai pezzi pregiati poc’anzi citati ““ le derive elettroniche cupe e oniriche di “Walk The Plank”, melodie malinconiche intrise nelle note iniziali di “Chimera’s Wreck”, che nel mezzo dei suoi nove minuti si cimenta in battenti pelli e chitarre metal che, in maniera aggressiva e inquieta, si manifestano pure nell’hard-rock psichedelico di “Rats Return” e fino ad arrivare all’altro gioiellino dell’album, una potentissima e sublime “Herd Culling”, con all’interno finanche sparute note di world-music. Eccezionale.
I Porcupine Tree sono tornati e l’attesa ne è valsa di sicuro la pena.
(Alessandro Tartarino)

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7. SUEDE
Autofiction
[BMG]
La nostra recensione

La perfetta operazione nostalgia.
Definirei così il ritorno degli Suede, che sale sul podio del 2022 cancellando di fatto 30 anni di storia, come se dopo “Animal Nitrate” fosse uscito “She Still Leads Me On”, primo singolo del disco della rinascita. C’è infatti la stessa energia esplosiva degli esordi di quella band che sembrava gli Smiths con l’eleganza dei Roxy Music e la faccia di ca*** dei Sex Pistols. Ascoltate “Personality Disorder” oppure “Shadow Self” per farvi un’idea di questa ritrovata energia.
Non mancano incursioni in territori dark tipo “Black Ice” o “Turn Of Your Brain And Yell” in salsa Cure oppure ballate “What am I Without You” a suggellare ancora una volta la capacità  di cambiare velocità  e livello di emozioni.
Chi si aspettava che gli Suede esplorassero nuovi territori o si infilassero nel filone di quelli che inseriscono l’elettronica perchè con “l’elettrica” non sanno più cosa dire rimarrà  deluso.
I più agè invece ritroveranno in questo disco la propria comfort zone quasi intatta, come se il tempo non fosse mai passato. E naufragar gli sarà  dolce in questo mare.
Gustabile.
(Bruno De Rivo)

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6. ALVVAYS
Blue Rev
[Polyvinyl]
La nostra recensione

Per buona parte dell’album si percepisce un senso di libertà , divertimento e smodatezza.
A differenza di alcuni brani passati del complesso canadese, quelli di “Blue Rev” non amano ripetersi in strofe e ritornelli ben impostati; preferiscono contraddirsi, contrastarsi, sorprendere e cercare sempre qualcosa di nuovo da far emergere.
(Federico Tricarico)

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5. ARCADE FIRE
We
[Columbia Records]
La nostra recensione

L’ultimo album di William Butler sotto l’egida degli Arcade Fire (dopo aver annunciato il 19 marzo 2022 sul proprio account Twitter di aver lasciato il gruppo. è un tripudio di perfette melodie incastonate in due distinte parti del disco. La prima ci travolge con una sorta di nostalgica atmosfera laddove la seconda ci proietta speranzosa verso brani come “Unconditional I” e “Unconditional II”. Questo “We” probabilmente non è il loro miglior album ma per certo è un lavoro strepitoso.
(Alessandro Tartarino)

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4. BEACH HOUSE
Once Twice Melody
[Sub Pop]
La nostra recensione

Ed ecco il compendio definitivo di una delle band che hanno marchiato a ferro e fuoco l’ultimo quindicennio di storia del rock. “Once Twice Melody”, centellinato a puntate, è una specie di antologia dell’arte di Scally e Legrand, quasi alla pari del dittico che li elevò nell’Olimpo del genere – sì, sto parlando dell’accoppiata “Teen Dream” (2010) / “Bloom” (2012). “Superstar” potrebbe essere il loro capolavoro. Forse troppo lungo, ma, parlando dei Beach House, questa è solo una buona notizia.
(And Back Crash)

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3. BLACK COUNTRY, NEW ROAD
Ants From Up There
[Ninja Tune]
La nostra recensione

La verità  è che non mi aspettavo un capolavoro dai Black Country, New Road, e mi sbagliavo. Sapevamo che il collettivo inglese era maestro nel realizzare maestosi castelli di carte, rutilanti improvvisazioni klezmer, ma un album capace di farti piangere, ridere, sprofondare e risorgere? Dal primo ascolto è stato chiaro che qui c’erano tutti gli ingredienti di una pietra miliare, ancora prima del drammatico annuncio di Isaac Wood di aver lasciato la band una settimana prima dell’uscita del disco. C’è un intero universo dentro a queste dieci canzoni, personaggi che ritornano, allusioni misteriose e tumulti interiori fin troppo chiari. Come in una palla di vetro con la neve, la metafora usata da Wood in “Snow Globes”, Ants From Up There costruisce un mondo in miniatura e ci invita a guardarlo sempre più da vicino, fino a che non ne diventiamo parte, e la magia si compie.
(Francesco Negri)

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2. THE SMILE
A Light for Attracting Attention
[Self Help Tapes]
La nostra recensione

Il sorriso di un falso profeta, il sorriso di un bugiardo, il sorriso di un pagliaccio, il sorriso di un ingannatore, il sorriso di un predatore che, sfruttando o meglio ancora nascondendosi dietro la scienza e la tecnologia, tenta di piegare il mondo intero alla sua volontà , obbligando le persone comuni ad essere al servizio di uno stato, di una società , di un’ideologia economica, di una morale, di un insieme di norme e di leggi pregiudiziali, le quali diventano sempre più disumane, più abominevoli, più assurde, più ostinate, più bramose di invadere la nostra intimità . Un modo violento di concepire la politica, del quale l’Italia, purtroppo, è divenuta un triste, ottuso, malsano e moribondo esempio. A tutto ciò gli Smile contrappongono una bellezza rarefatta, fragile e traballante, la voglia di evadere dalla prigione di passività  nella quale veniamo, quotidianamente, umiliati, considerati alla stregua di bambini che non sono in grado di scegliere e di decidere il proprio bene.
(Michele Brigante Sanseverino)

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1. FONTAINES D.C.
Skinty Fia
[Partisan]
La nostra recensione

Una celebrazione della cultura irlandese, del sacrosanto legame tra uomo e natura e una preziosa testimonianza dei danni invisibili portati dalla gentrificazione – il tutto in una deliziosa salsa post-punk con influenze che spaziano dai  Nine Inch Nails  ai Cure. Potevamo chiedere di meglio, da una delle band più innovative e interessanti degli ultimi tempi? Assolutamente no. Cerchiamo di mantenere basse aspettative, ma visti i dischi che finora i  Fontaines D.C.  ci hanno offerto, è davvero difficile non farlo. Disco definitivo dell’anno.
(Dimitra Gurduiala)

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Grafica: Luca Morello