La prima parte della classifica:

25. ARCTIC MONKEYS

Suck It And See
[Domino]

Gli Arctic Monkeys viaggiano da una sponda all’altra dell’Atlantico a vele spiegate e danno l’impressione di non voler calare l’ancora proprio ora”…ora che son riusciti a spingere il “‘nostro’ amato rock, travestito da pop in cima alle classifiche.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

Ascolta Suck It And See


24. A CLASSIC EDUCATION

Call It Blazing
[La Tempesta]

Gli A Classic Education hanno mescolato la loro personale retro-mania, fatta di Sessanta con qualche sforamento nei Cinquanta, storie di easy riders, Canada e California a braccetto, chitarre dal sapore wave ma senza esagerare con l’enfasi dolente. Ne hanno fatto brani asciutti e credibili
(Gianluca Ciucci)

Ascolta Baby It’s Fine

23. BATTLES

Gloss Drop
[Warp]

Il disco giusto per incasinarsi il cervello senza fare uso di droghe.

Questi qua ci hanno guadagnato parecchio dall’addio di Ty Braxton, e quando sei vicino a capire cosa stanno suonando loro sono già  avanzati di un passo. Geniali.
(Federico “Accento Svedese”)

Ascolta Ice Cream


22. WU LYF

Go Tell Fire To The Mountain
[Lyf]

Da un’ ipotetica discendenza di Swans ed Happy Mondays ciò che ne risulta è una specie di rigurgito pop mescolato al magma di una società  implosa: linee di chitarra che si espandono come molotov fluttuanti, voce rabbiosa in preda a dislessia, crepe nell’ugola in cui inserire spaccati di guerriglia urbana.

Urlano e sputano veri e propri inni da strada (“Spitting Blood”, “Concrete Gold”), poi suonano ieratici (“Summas Bliss”), lenti e tribali come l’incedere della batteria. Sacralizzano le ferite con bagni di Hammond liquido (“Dirt”) e celebrano esequie (l’iniziale “‘Lyf”) tra fiamme ossidriche che salgono al cervello(“Heavy Pop”). Tanti buoni numeri e una potente dose di anarchia congenita. 10 tracce che assorbono lo spirito del tempo come un piccolo compendio antropologico a declinazione politica. Viscerali.
(Simona Vallerani)

21. THE HORRORS

Skying
[XL]

I pregiudizi sono sacrosanti. Sono un filtro. Ma qualora aveste bisogno di un esempio, uno di quelli eclatanti, in cui i pregiudizi non si rivelino cosa buona e giusta, ecco, guardatevi gli Horrors.

I loro atteggiamenti, le loro acconciature. E poi ascoltate questo “Skying”. Qualcosa non quadra?
(Angelo Murtas)

Ascolta Still Life (live at Glastonbury 2011)

20. MOGWAI

Hardcore Will Never Die, But You Will
[Rock Action]

Musicisti, i cinque di Glasgow, di rara passione, con un fiuto eccezionale per la melodia abbinato ad un furore animale, oserei dire; peculiarità  queste che si possono apprezzare negli infuocati live a cui i Mogwai danno vita.

Ed è proprio la dimensione del live il luogo in cui meglio si può capire chi siano i Mogwai, ovvero uomini che suonano da dio e che non lasciano spazio ad alcun tipo di posa (malattia diffusissima nel mondo del rock indipendente), pur potendosi fregiare dell’ingombrante titolo di “‘band seminale’.
(Gianluca Ciucci)

Ascolta Rano Pano

19. ST VINCENT

Strange Mercy
[4AD]

Annie Clark ragiona sulle forme del pop con personalità  e coraggio.

“Strange Mercy” è pieno di soluzioni ambiziose, ricerca e sperimentazione sono affidate ad una chitarra sublime. Non solo virtuosismo e appeal orchestrale ma una vera e prorpia fascinazione intellettuale.
(Simona Vallorani)

Ascolta Cruel

18. DESTROYER

Kaputt
[Merge]

La carta vincente di Destroyer sta nel suo viaggiare miracolosamente sospeso tra atmosfere rarefatte, ma, allo stesso tempo incredibilmente materiche, dense, eccitanti, sudate, un misto di malinconia ed energia che mantiene un’alta tensione emotiva per tutta la durata del disco.

Senza spaccare niente e ferire nessuno, Bejar, nel raggiungere l’apice artistico di una lunga carriera, mette in atto la sua rivoluzione silenziosa, fatta di lezioni di songwriting e gran cura nello scegliere gli ornamenti di questo magnifico ed imprescindibile album.
(Giuseppe “Joses” Ferraro)

Ascolta Chinatown

17. THE PAINS OF BEING PURE AT HEART

Belong
[Slumberland]

…sempre dal mio blog Dieci pezzi farciti di chitarre taglienti e feedback (in Jesus and Mary Chains style), di tastiere squisitamente pop e dalla bella voce sognante della cantante occhi a mandorla Peggy Wang. Il suono robusto del gruppo newyorkese ti catapulta nei dark anni 80, quando le radio passavano i migliori Cure, Smashing Pumpkins e i sopracitati Jesus and Mary Chain.

Per cui nostalgici cominciate a stropicciarvi gli occhi, a stapparvi le orecchie perchè “Belong” vi darà  una spintona che vi farà  tornare dritti dritti a quando avevate i capelli cotonati e ancora neri come la pece!! Dolce rivelazione di inizio anno.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

Ascolta Belong


16. BEIRUT

The Rip Tide
[Pompeii]

Un ispirato songwriting completa il nuovo lavoro della band statunitense”…nove tracce scritte durante l’inverno scorso a New York, dei piccoli affreschi emozionali che difficilmente vi lasceranno indifferenti.

Se ancora non conoscete i Beirut “The Rip Tide” è senza dubbio l’album giusto per cominciare ad apprezzarli, se già  li amate li gusterete ancora di più in questo lavoro che porta a compimento tutte le piacevoli intuizioni avute dal buon Zachary fin dall’esordio.
Un punto d’arrivo. Il futuro ora non interessa.
(Jacopo Ravagnan)

Ascolta The Rip Tide


15. WILCO

The Whole Love
[dBpm]

Ok, non siamo all’altezza dei loro capolavori, è un dato di fatto. Ma il solo riuscire a mettere due meraviglie in apertura e in chiusura di disco, gli vale un posto di diritto nella personale classifica di fine anno.

Jeff Tweedy non è più vittima delle proprie angosce e la band vira di poco le proprie coordinate. Una malinconica serenità  che si affaccia splendidamente alla vita.
(Enrico “Sachiel” Amendola)

Ascolta I Might

14. THE VACCINES

What Did You Expect From The Vaccines?
[Columbia]

Il primo disco dei The Vaccines spacca! Il loro indie-rock è stato travolgente sin dal primo ascolto.

Viene voglia che l’estate ritorni prima possibile e magari trovarsi ad una bella festa in spiaggia, con una birra in mano a ballarli freneticamente. Da festeggiarci.
(Luigi “dj elleffe” Formica)

Ascolta Post Break-Up Sex (XFM Version)

13. I CANI

Il Sorprendente Album Dei Cani
[42]

A me questo disco ha dato alla testa. Come quando si beve una buona birra e non vedi l’ora di prenderne un’altra, e poi un’altra ancora. L’esordio di questa band è stato folgorante. C’è chi lo ha apprezzato e chi no. Io l’ho semplicemente amato questo disco. Dipendenza pura.
(Luigi “dj elleffe” Formica)

Ascolta Velleità 

12. PAOLO BENVEGNU’

Hermann
[La Pioggia]

Dall’Io al Noi.

“Hermann” è un complesso ed emozionante trattato sulla condizione umana. Testi di una bellezza accecante per il più grande poeta musicale dell’Italia di oggi.
(Luca “Dustman” Morello)

Ascolta Andromeda Maria


11. M83

Hurry Up, We’re Dreaming
[Mute]

Quando lo shoegaze si fa disco, ecco che prende il nome del duo francese M83.

Un album elaborato, figlio dei synth degli anni 80 e del dreampop dei 90, che colpisce per la sua pomposità . E forse è proprio perchè è così caramelloso che ci piace.
(Anais)

Ascolta Midnight City

10. FEIST

Metals
[Cherrytree/Interscope]

Canzoni dall’altra parte del vetro, con cinque dita tese contro la finestra e un sorriso ambiguo che può essere un addio, un arrivederci o un bentornato a casa.

Tra certe atmosfere da Laurel Canyon tanto tempo fa e gli accenti soul-elettronici di una qualsiasi città  occidentale oggi, Feist scrive un disco sul modo contorto che hanno le persone di girarsi intorno prima di piombare l’una sull’altra. Dimostrando che si può parlare di felicità  e rassicurare l’ascoltare facendo a meno di prevedibili ritornelli.
(Claudia Durastanti)

Ascolta How Come You Never Go There


9. KASABIAN

Velociraptor!
[Columbia]

Tolte alcune(poche) tracce che dimostrano un’interessante ispirazione come “Acid Turkish Bath” (il cui inizio strizza l’occhio ai Led Zeppelin) e “Switchable Smiles”(dove le contaminazioni con elettronica e fiati rendono il brano molto godibile) il resto lascia l’impressione di ben poca cosa o , peggio, di qualcosa di già  ampiamente sentito.

Per i Kasabian un ritorno che lascia più di una perplessità , ma che probabilmente sarà  presto fugata da uno dei concerti del nuovo tour, medicina veloce e miracolosa per riappacificarsi con la band d’oltremanica.
(Jacopo Ravagnan)

8. ANNA CALVI

Anna Calvi
[Domino]

Il più grande pregio della bella Anna è di riuscire a non passare mai inosservata, senza tuttavia essere un personaggio particolarmente appariscente.

Tutto frutto di un magnetismo che si rispecchia in pieno in un debutto dai toni caldi, passionali, rossi come le camicie che è solita indossare. Suo il miglior assolo di chitarra visto dal vivo nel 2011 (“Love Won’t Be Leaving”).
(Marco D’Alessandro)

Ascolta Desire (7 single version)

7. GIRLS

Father, Son, Holy Ghost
[True Panther]

Ho amato Christopher Owens sin dal debutto di “Album”. Con questo disco i Girls confezionano un lavoro più maturo, dal suono retrò estremamente sofisticato come se Elvis Costello avesse cantato nei Beach Boys.

Credo sia un album non solo da avere, ma letteralmente da consumare come si consumano solo i grandi album. C’è del gospel, del surf rock, del folk e del country qua e là , ma soprattutto c’è tutto il talento del duo di San Francisco.
(Marco Guerne)

Ascolta 4 tracce da “Father, Son, Holy Ghost”


6. RADIOHEAD

The King Of Limbs
[autoprodotto]

Sono stufa delle incessanti polemiche sulla sua qualità  del disco e forse anche un po’ stufa dei Radiohead.
Una loro nuova fatica avrebbe dovuto svettare in cima alla classifica eppure non posso concedere tale lusso a “TKOL”. La qualità  intrinseca delle sonorità  della band merita un posto in classifica ma è un sorriso a mezza bocca quello che mi strappa l’ultimo parto del gruppo di Oxford.

“TKOL” non è straordinario eppure dopo la metabolizzazione riconfermo: è coerentemente un buon disco. Polemica o meno, la catarsi ipnotica lascia il tempo che trova ed in caso di nuove uscite a Thom Yorke non basterà  più dimenarsi al suono della prossima “Lotus Flower”.
(Laura Lavorato)

Ascolta Lotus Flower (SBTRKT RMX)

5. FLEET FOXES

Helplessness Blues
[Sub Pop]

“Helplessness Blues”, per chi come me ama i 5 di Seattle sin dall’esordio di 3 anni fa, è senza dubbio l’album dell’anno. La formula letale è la solita: melodie ancestrali, suoni medievali e dosi su dosi di vecchio folk. Non ci troverete capolavori o pezzi che rimarranno nella storia a lungo, perchè ognuno dei dodici è nel suo piccolo un capolavoro e ha una storia a se.

Pecknold e le altre volpi dovrebbero entrare di diritto nella classifica delle band folk di sempre. Nella mia, di classifica, già  stanno ai vertici.
(Marco “Fratta” Frattaruolo)

Ascolta Helplessness Blues

4. VERDENA

WOW
[Universal]

Il ritorno dell’anno. Ho voluto da subito sospendere il giudizio sulla qualità  dell’album del trio bergamasco, ascoltandolo e riascoltandolo con solo piacere, perchè ritenevo che giudicarlo fosse una faccenda secondaria rispetto alle attese che si erano create, rispetto al successo continuo del Wow Tour, rispetto alla nostalgia che avevano nel cuore coloro che li avevano amati e rispetto all’entusiasmo con cui ne parlavano i giovani che dieci anni fa guardavano ancora “L’Albero Azzurro”.

Penso sempre lo stesso, mi affogherei.
(Marco Guerne)

Ascolta Razzi Arpia Inferno e Fiamme


3. JAMES BLAKE

James Blake[Atlas]

Un album denso e calibrato, tra algidità  postmoderna e pathos classico. Forse un po’ incompiuto e solipsistico, il falsetto pitchato fino alla dissolvenza e
la sottrazione di nebulose sonore non dischiudono orizzonti felici.
Resta comunque un frutto del nostro tempo, volatile profondo e a tratti commovente
(Simona Vallorani)

Un buon lavoro si valuta anche in base alla scia di emuli che riesce a produrre, e il debutto di Blake è quello che più di ogni altro è riuscito a crearne nel 2011.
Un gran disco di buone melodie, ottimi bassi ed emozioni grosse come case.
(Marco D’Alessandro)

Influenze diversissime che convivono e creano qualcosa di completamente inedito, non però per spririto di sperimentazione e calcolo teoretico: per semplice necessità , riflessione in musica del luogo preciso in cui ci troviamo, o meglio del margine più estremo di quel luogo. James Blake è questo, è un passo avanti fino al limite, fino al confine tra nuovo e pop. Un punto in cui fermarsi e osservare il futuro.
(Matteo “matteb83” Benni)

Ascolta Limit To Your Love (Beat Culture Remix)

2. BON IVER

Bon Iver [4AD]

Justin Vernon abbandona le montagne di “For Emma” e s’incammina verso l’America continentale; ogni brano del suo diario di bordo è la fotografia opaca di una diversa tappa del viaggio, a formare un disco dalle atmosfere avvolgenti e rarefatte.
(Marco D’Alessandro)

Prova tu a far fuori il candidato a Gesù Cristo dell’indie folk e a confessare che sei tutt’altro che magnifico, prova tu a convincere il pubblico che anche se smetti di percorrere le strade del dolore hai ancora qualcosa da dire, e che puoi ergerti imperioso sulla tua stessa mitologia. Prova tu a
trascinarci nel soft rock e negli strati dei sintetizzatori e a farci sentire ugualmente consolati. E non sarà  magnifico, Justin Vernon, ma ci ha detto che potevamo averlo, che questo potevamo averlo: una guarnigione accettabile, Phil Collins nel retrobottega, i telefilm melensi con le luci natalizie sugli alberi anche quando è estate. Che potevamo averlo, e lo abbiamo.
(Claudia Durastanti)

Il ricordo di Emma lascia spazio ad un personale mental-road trip in dieci tracce. è dolce viaggiare sulle note di Justin Vernon… (Anche se personalmente continuo a preferire “For Emma, Forever Ago”).
(Maria “berenix” Bonì )

Pare che nel 2011 non si possa prescindere da Bon Iver. Pena l’essere messi alla gogna per poi essere calpestati con zeppe affilatissime. La verità  è che non posso prescindere da Bon Iver perchè questo, come già  For Emma, è un ottimo disco. Album denso (non melenso), ispirato ed evocativo di un musicista che ha ancora molto da dire. Inversione di rotta per chi attendeva il secondo volume de “la maledizione del cantautore intimista”, suona troppo bene perchè lo si possa ignorare. E’ l’album che teniamo sotto il cuscino,per non separarcene mai, anche quando sembriamo dimenticarcene. BUon Iver.
(Laura Lavorato)

La luce dopo la nevicata.
Prosegue la fantastica avventura musicale di Justin Vernon. Dopo la dolce austerità  di For Emma, ecco la primavera del nuovo album, che rivela inaspettati intrecci policromatici e nuovi delicati sussulti.
(Luca “Dustman” Morello)

Ascolta Holocene & Calgary

1. PJ HARVEY

Let England Shake [Island]

Non è la PJ rock che ci si aspettava, ma è sempre più chiaro e palese, anche dopo quest’album, che la vera regina d’Inghilterra viene dal Somerset e non si chiama Elisabetta.
(Marco Guerne)

PJ Harvey è forse l’ultima icona rock al femminile a non aver ancora sbagliato un colpo, e “Let England Shake” ne è la tangibile prova. Un concept sulla guerra e sulla Gran Bretagna d’oggi, cantautorato rock à  la Nick Cave e testi d’impatto … ritmi ansiogeni e trascinanti che accompagnano l’ascoltatore nell’inquietante visione bellica di Polly Jean.
(Marco D’Alessandro)

Sapevo tutto di PJ Harvey. Quello che mi mancava è che avesse potuto sorprendermi ancora, nel 2011, con un disco pazzesco.
(Angelo Murtas)

Dimenticatevi la Polly Jean dei primi album, che oggi predilige sonorità  più introspettive ed eleganti.
(Anais)

Dio uccida la regina.
Polly Jean seppellisce la scabrosa ribelle dei tempi che furono per rinascere però in una veste non meno interessante, quella di indagatrice più che dei propri demoni, dei fantasmi della guerra che tormentano la nostra civiltà .
(Luca “Dustman” Morello)

Non potrà  mai deludere (oddio forse, “Uh Oh Her…”). Un disco semplicemente senza tempo, la più grande donna del rock (in senso lato) anni ’90.
(Emanuele “kingatnight” Chiti)

Ascolta The Words That Maketh Murder

La prima parte della classifica: